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Venerdì, 29 Mar 2024

“A pochi giorni dal vertice sui cambiamenti climatici di Parigi … in Italia si sta rischiando di perdere definitivamente l’Archivio storico meteorologico, una raccolta di dati straordinaria, iniziata da meteorologi illuminati fra il 1700 e il 1800 e finanziata dai governi italiani succedutisi dall’Unità d’Italia fino ad oggi”.

Il grido d’allarme viene dall’autorevole Associazione italiana di agrometeorologia (Aiam), sul cui sito (www.agrometeorologia.it) è presente un articolato documento che ricostruisce, con dovizia di particolari, una storia che sembra avere aspetti davvero sconcertanti.

Gli scienziati dell’Aiam - che studiano le interazioni dei fattori meteorologici ed idrologici con l’ecosistema agricolo-forestale e con l’agricoltura - si chiedono se il nostro Paese può mettere a rischio la principale fonte di dati storici sui cambiamenti climatici in Italia.
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“Eppure - si legge nel documento - la disponibilità di dati meteorologici storici è importante per studiare i cambiamenti climatici ed è indispensabile per trarre indicazioni anche per il futuro. La comunità scientifica internazionale e la stessa Organizzazione Meteorologica Mondiale promuovono da tempo il recupero e la digitalizzazione delle serie storiche meteorologiche più lunghe per poterle mettere a disposizione dei climatologi di tutto il mondo”.

L’Archivio storico meteorologico nazionale - oggi custodito dall’Unità di ricerca per la climatologia e la meteorologia applicate all’agricoltura (Cma), ultimo erede di quello che fu il Regio Ufficio Centrale di Meteorologia, istituito nel 1876 - è una delle più ricche risorse informative sul clima d’Italia (circa 1000 serie storiche, distribuite sul territorio nazionale e nelle ex-colonie) ed è oggetto di studio e di attività di recupero da parte dei ricercatori dell’Unità.

All’Archivio si affiancano la Biblioteca centrale della geofisica, che trae origine dal nucleo bibliografico della prima Specola astronomica del Collegio Romano, con oltre 40.000 volumi, di cui i più antichi risalgono al 1500, la collezione di strumenti meteorologici e sismici che comprende circa 400 pezzi, alcuni risalenti ai primi dell’800, e l’Osservatorio Meteorologico del Collegio Romano, che ha iniziato la sua attività nel 1789. Tutto questo patrimonio è stato raccolto nel tempo nella sede del Collegio Romano ed è giunto integro ai nostri giorni, e perfettamente accessibile, proprio grazie alla stabilità della sede.

La fine della storia plurisecolare di questa sede scientifica - si legge nel documento - è stata fissata irrevocabilmente alla data del prossimo 31 dicembre, sancita dal Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), dal quale il Cma dipende.

Il Crea - aggiungono gli scienziati - disponendo la chiusura dell’Archivio rischia non solo di disperdere il patrimonio informativo e strumentale di meteorologia e sismologia di importanza internazionale, che detiene e che dovrebbe valorizzare e divulgare, ma anche di privare di originali risorse informative i suoi ricercatori.

La decisione del Crea, allo stato sotto gestione commissariale, viene giustificata con la necessità di “interventi d’incremento dell’efficienza organizzativa ed economica, finalizzati all’accorpamento, alla riduzione ed alla razionalizzazione delle strutture e delle attività degli enti”.

I costi di gestione ordinaria del sopprimendo Archivio ammonterebbero a circa 12.000 euro al mese, tenuto conto che i locali sono demaniali. Tali locali, una volta dismessi dal Crea, passerebbero al Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo (Mibact), già presente al Collegio Romano con propri uffici.

Allo stato, a poco più di un mese dalla data di rilascio dei locali da parte del Crea, non vi sarebbe alcuna certezza  sulla destinazione finale delle diverse risorse storico-scientifiche conservate nella sede.

“E’ infatti certo - scrivono gli  agrometeorologi - che nella nuova sede non ci sono spazi sufficienti per trasferire in toto il patrimonio e che c’è la volontà di spostare parte della collezione di strumenti in una terza sede, mentre il nucleo principale della biblioteca resterà al Collegio Romano, passando sotto la giurisdizione del Mibact. In questo modo il patrimonio storico scientifico della geofisica italiana, raccolto e conservato unitariamente fin dal 1800, andrà irrimediabilmente smembrato”.

La preoccupazione più forte resta, però, per l’archivio storico, per il quale non ci sarebbe  al momento alcuna indicazione circa la futura collocazione, né c’è alcuna garanzia di mantenerne la fruibilità.

“Sarà l’ennesima collezione storica che finirà chiusa negli scatoloni di qualche deposito? Sarebbe un danno inestimabile per i climatologi innanzitutto”.

Gli agrometeorologi ci tengono a precisare che, se la chiusura fosse confermata, oltre al danno materiale, ci sarebbe anche il danno di immagine per la città di Roma, che perderebbe un luogo simbolo per la scienza, uno dei luoghi romani in cui si è svolta una parte importante della storia della scienza nazionale ed internazionale.

Le osservazioni meteorologiche, invece, dovrebbero poter proseguire. Sembra, infatti, che il Mibact concederebbe la servitù di passaggio per accedere alla Torre Calandrelli, sede dell’Osservatorio.

Per gli scienziati, che hanno lanciato il grido d’allarme, si tratta di una magra consolazione, nel contesto di demolizione di una identità scientifica.

L’auspicio di quanti hanno a cuore le sorti della scienza nel nostro Paese è che, in nome di una asserito incremento dell’efficienza organizzativa ed economica, non venga sacrificato un supporto indispensabile per lo sviluppo nel campo della meteorologia.

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