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Venerdì, 19 Apr 2024

Occorre «un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura», ci ha detto Papa Francesco nell'Enciclica Laudato si' sulla cura della casa comune. Ed è proprio l'approccio che ci auguriamo abbiano i 195 Paesi - con i loro 25mila delegati che si riuniranno dal 30 novembre all’11 dicembre prossimi a Parigi, per la XXI Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP 21) - per trovare soluzioni atte a mitigare il cambiamento climatico e a porre in essere misure concrete per diminuirne gli effetti negativi sul pianeta, a partire da un nuovo piano di riduzione delle emissioni globali di gas serra.

È l'ultima occasione per salvare la Terra e gli esseri viventi.

Per ora, ognuno dei 148 Paesi produttori dell’87% delle emissioni ha presentato il proprio piano d’azione, ma mancano ancora quelli di Iran e Arabia Saudita e vi sono paesi come l'India che ritengono di non dovere sottoscrivere alcun accordo.

Se, entro la fine del secolo, non verranno messi in campo interventi capaci di contenere le emissioni di CO2, la temperatura globale aumenterà di 4/5 gradi centigradi, provocando la scomparsa, nei successivi due secoli, dei terreni attualmente abitati da 470-760 milioni di persone. Nella sola  Italia sarebbe coinvolto l'8% della popolazione, 4,7 milioni di persone.

Dai dati diffusi dall’organizzazione americana Climate Central - formata da scienziati e giornalisti, che si occupano di questi problemi, se non ridurremo le emissioni globali di gas serra, il livello delle acque potrebbe salire a tal punto da sommergere molte città costiere come  le nostre Venezia, Napoli, Pisa. E, nel resto del mondo, Londra, New York, Shanghai, Mumbai, Rio de Janeiro.

Ma questa non è che una delle possibili conseguenze del cambiamento climatico che potremmo trovarci ad affrontare nel futuro prossimo. Insomma, è a rischio la vita stessa di milioni di persone, la sopravvivenza di molte specie animali e di interi ecosistemi.

E poi, già oggi nel mondo vi è un problema di giustizia climatica. Le nostre abitudini, il nostro consumismo, l'utilizzo di fonti energetiche fossili, la deforestazione hanno degli alti costi per l'ambiente e contribuiscono a quel surriscaldamento globale che porta alla desertificazione, ad un accesso all'acqua e al cibo sempre più difficili, all'impoverimento di intere popolazioni costrette ad emigrare dalle loro terre.

Secondo un rapporto della Banca Mondiale, entro il 2030, il cambiamento climatico potrebbe portare alla povertà oltre 100 milioni di persone. Una situazione che genera conflitti e fughe dalle terre di origine.

Ma, nonostante la gravità della situazione, la strada per arrivare ad un accordo che preveda almeno misure capaci di contenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C è irta di ostacoli. Tanto più che c'è ancora in ballo il Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (Ttip), che mira a garantire un'economia liberista e con un accesso illimitato alle materie prime. Perciò le multinazionali saranno attivissime nella conferenza, per ribadire che il diritto al commercio deve prevalere sulle questioni ambientali.

I governi, condizionati dalle lobby, quella delle fonti energetiche fossili in testa, quando non negano i problemi, mostrano resistenze e timidezze a prendere provvedimenti risolutivi.

Basti pensare a quanto è accaduto nel nostro paese con gli ultimi tre governi, che hanno preso solo provvedimenti per bloccare quel processo che ci ha portato a soddisfare il 38% del fabbisogno energetico del paese con le rinnovabili e alla riduzione delle importazioni di fonti fossili.

Siamo il secondo paese europeo per produzione di energia solare, eppure i governi Monti, Letta e, soprattutto, Renzi hanno varato una serie di provvedimenti per disincentivare il ricorso alle rinnovabili.

Stando a quanto denunciato dalla Legambiente nel suo recente Rapporto stop rinnovabili, i provvedimenti governativi hanno prodotto tagli retroattivi agli incentivi sul solare, tagli del 40% per gli incentivi destinati ai piccoli impianti eolici e del 24% per il mini idroelettrico, mentre per le biomasse sono previsti generosi incentivi con tariffe garantite per 20 anni e una spesa complessiva di 1,2 miliardi di euro, che noi tutti pagheremo in bolletta per impianti che non hanno nulla di sostenibile.

E non basta: nuove tasse per l'autoproduzione da rinnovabili e liberalizzazione degli interventi off shore per la trivellazione in mare alla ricerca di petrolio e gas (viceversa, sono ancora bloccate le domande per l'installazione di impianti eolici marini).

Ma i temi da tener presenti nella conferenza non sono solo energia, industria e trasporti, occorre anche rivedere il nostro modello agroalimentare, basato su un’idea di crescita infinita, riducendo gli sprechi (1/3 della produzione viene buttata, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo) e privilegiando filiere corte, che seguano pratiche sostenibili, tornando all'agrobio-diversità (secondo la Fao, negli ultimi 70 anni abbiamo perso i tre quarti dei semi che i contadini avevano selezionato nei 10.000 anni precedenti) e abbandonando l'uso di derivati del petrolio, come i fertilizzanti, i pesticidi e il carburante per le attrezzature agricole.

Insomma, l'abbandono di un sistema schizofrenico che, pur producendo una quantità di alimenti sufficiente per 12,5 miliardi di persone, ne lascia 800 milioni a digiuno.

Bisogna passare a tecniche che conservino l’umidità e la fertilità del suolo, incrementandone la capacità di stoccaggio di carbonio, per proteggere il terreno dall’erosione e rallentare il processo di desertificazione. Promuovere forme di allevamento sostenibile basato su razze autoctone, più adattate al clima e alla geografia locale, sul benessere animale e la buona gestione dei pascoli.

Che fare allora affinché a Parigi si stipuli un accordo equo e legalmente vincolante?

Per prima cosa, occorre neutralizzare i condizionamenti dannosi delle lobby e crearne di positivi, per questo molte associazioni italiane, non solo ambientaliste, hanno deciso di fondare la Coalizione Clima, e stilato un Manifesto, per informare e coinvolgere l’opinione pubblica ad aprire un dibattito su questi temi vitali per il futuro e la sopravvivenza del pianeta. Molte le richieste che la Coalizione Italiana Clima porterà alla COP21 di Parigi.

Se ci mobilitiamo e ci battiamo possiamo farcela, perché oggi abbiamo tutte le conoscenze e le tecnologie per sviluppare un'economia basata su fonti energetiche rinnovabili, un'agricoltura e un'industria sostenibili. Un'economia green che può essere anche il volano per uscire dalla crisi economica.

Perciò la prima azione da compiere è partecipare la prossima domenica 29 novembre alla Marcia Globale per il Clima, organizzata a Roma e in tutte le principali città del mondo, da Sydney a Città del Capo, passando per Tokyo, Dakha, Bagdad, Madrid e Londra. Oltre 2000 eventi in più di 150 paesi (per info http://globalclimatemarch.org/en/).

Solo a Parigi, dopo i tragici attentati che l'hanno colpita, il governo ha vietato la manifestazione, ma i francesi chiedono a tutti noi di marciare anche per loro.

A Roma, la manifestazione partirà alle ore 14,00 da Piazza Farnese e arriverà in Via dei Fori Imperiali, dove si terrà una grande festa con laboratori, spazi aperti a tutti i movimenti e ai cittadini che vorranno far sentire la propria voce e il proprio impegno a favore del clima e, per finire, alle ore 17,00 vi sarà un concerto gratuito con Bandabardò, Dolcenera, Meganoidi, Têtes de Bois,  Kutzo, Sandro Joyeaux e molti altri.

E questo non sarà che il primo appuntamento di Coalizione Clima.

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