L’ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo, di Jay Roach, con Bryan Cranston, Elle Fanning, Diane Lane, Helen Mirren, Alan Tudyk, John Goodman, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Louis C.K., durata 124’, nelle sale dal 11 febbraio 2016, distribuito da Eagle Pictures.
Recensione di Luca Marchetti
Probabilmente, un personaggio grandioso come lo sceneggiatore Dalton Trumbo avrebbe meritato un film biografico più ambizioso, ben diverso da questo L’ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo, pellicola dall’orizzonte oggettivamente televisivo, diretta da Jay Roach.
Eppure, nonostante i difetti superficiali di quest’opera, la statura morale del suo eroe riesce comunque ad arrivare al pubblico con risultati, in fin dei conti, edificanti ed efficaci.
Trumbo, per chi non lo sapesse, è probabilmente il nome più noto tra i Dieci di Hollywood, un gruppo di sceneggiatori di simpatie comuniste che, nella Hollywood degli anni cinquanta furono incarcerati, ostracizzati e messi al bando per le proprie idee politiche.
Lo scrittore, considerato all’epoca il più importante autore dell’industria cinematografica, decise di non piegarsi di fronte alle intimidazioni di un sistema paranoico e illiberale, rivendicando con coerenza il proprio credo politico e il proprio radicalismo.
Appoggiandosi alla sceneggiatura alquanto schematica di John McNamara (tratta dalla biografia di Bruce Cook), Roach segue la vita di Trumbo dai successi di Hollywood, al processo, fino al mercato nero delle sceneggiature (dove gli autori inseriti nella blacklist maccartista firmavano gli script con pseudonimi) e alla sua vittoria morale.
Il film, dunque, senza stravolgimenti o guizzi narrativi, racconta una delle pagine più oscure della storia hollywoodiana, un trauma non ancora superato da un’industria che da anni si è imposta come la faccia migliore dell’America liberal.
L’ultima parola è solo l’ennesima tappa di un percorso di rielaborazione, portato avanti nei decenni da pellicole più o meno riuscite (da Il prestanome, passando per Indiziato di reato, per arrivare a Majestic) fino a giungere a strappi fragorosi e plastici come l’odio ostentato di molti attori verso il regista Elia Kazan nella serata del suo Oscar alla carriera (il regista di Fronte del porto è stato sempre considerato un traditore, per aver collaborato con la commissione maccartista).
Nel racconto delle difficili disavventure di Trumbo, il cinema americano cerca, dunque, una nuova occasione per fare i conti con il proprio passato e confeziona un’agiografia con cui prova a riscattarsi.
Il fascino vintage di questa Hollywood d’oro, del cinema dei grandi divi e dei kolossal, è la confezione patinata con cui si prova a riaffermare una scelta di campo, ci si convince di avere (sempre avuto) un’anima pura. La scelta manichea di contrapporre al forte e paziente Trumbo, alla sua famiglia, ai suoi colleghi scrittori, agli eroici Kirk Douglas e Otto Preminger, personaggi grotteschi, come la melliflua cronista reazionaria Hedda Hopper e un arrogante John Wayne, è un’altra trovata semplicistica per raggiungere lo scopo di redenzione.
Detto questo, al di là degli intenti auto-assolutori del film, L’ultima parola è una pellicola che ha, comunque, il merito di mostrare un uomo coerente e sincero, un eroe fieramente progressista e radicale (in un Paese in cui la parola socialista è vista tutt’ora con orrore), l’esempio migliore di artista impegnato (figura detestata dalle destre di tutto il mondo), che con tutte le sue contraddizioni cerca sempre di fare l’azione giusta.
La forza di questo Trumbo va attribuita anche alla performance di Bryan Cranston, caratterista di lusso e splendida stella della serialità statunitense, qui capace di regalare un’interpretazione passionale, degna della nomination all’Oscar che ha conquistato.