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Sabato, 20 Apr 2024

Nel suo parere (oggetto di un nostro precedente articolo) sulla bozza di regolamento del Miur relativo ai criteri e parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale, il Consiglio di Stato invitava il predetto ministero a evitare, nella stesura dei suoi atti, la tecnica “dei rimandi da disposizione a disposizione, tali da pregiudicare la chiarezza del disposto normativo, e da ingenerare difficoltà applicativa e contenzioso”.

Il “suggerimento” del supremo organo della giustizia amministrativa ci ha indotto a fare qualche riflessione sullo “stato di salute” della legge nel nostro paese, ma forse sarebbe più esatto dire sullo stato di salute dei cittadini “davanti alla legge”, secondo una  formula  di kafkiana memoria.

Certe volte, il legislatore sembra quasi accanirsi nei confronti del povero interprete. Tra i tanti casi, si riporta l’esempio dell’art.49 della legge n.448 del 1988, che cita 8 testi normativi, ulteriormente rinviando  – non si sa mai – alle loro “successive modificazioni e integrazioni”, secondo una formula di stile, diremmo quasi magica, che mette in salvo il legislatore ma abbandona a se stesso l’interprete, che deve poi andarsele a cercare, quelle modificazioni e integrazioni, probabilmente sconosciute persino allo stesso legislatore.

Va detto, peraltro, che questa dei “rimandi” non è che una delle tante difficoltà che gli interpreti - non sempre giudici, avvocati o pubblici amministratori, insomma gente del mestiere, potendo essere anche semplici cittadini – incontrano quando sono costretti a decifrare i testi normativi. Come se non bastasse, il “gioco dei rimandi”, infatti, si inserisce, ad aggravarlo, in un contesto di tragica ipertrofia legislativa (fenomeno invero non solo italiano, ma questo poco ci consola), in cui nessuno conosce il numero stesso delle leggi vigenti in un determinato momento storico, tralasciando di considerare, naturalmente, gli altri atti normativi, che comunque reclamano anch’essi di essere rispettati.

L’ipertrofia legislativa, a sua volta, favorisce l’ignoranza della legge e ne pregiudica l’osservanza, essendo tutt’altro che agevole conformare i propri comportamenti quando ci si trova davanti a un mare di disposizioni  che pretendono di orientarli. Con l’aggravante che talvolta si tratta di disposizioni, come quelle penali, anch’esse moltiplicatesi nel tempo, la cui inosservanza può esporre a conseguenze non di poco conto, onde si spiega come la nostra Corte costituzionale sia giunta addirittura fino al punto di “circoscrivere” la portata del principio, finora indiscusso, “ignorantia  legis non excusat”, facendo salva l’ignoranza “inevitabile” della legge penale (sent. n.364/1988), con ciò attenuando l’efficacia prescrittiva delle norme.

E’ un fatto che nella “patria del diritto” – che ha insegnato al mondo che le leggi devono essere poche e che, per aversi chiarezza, devono essere dotate dei requisiti di generalità e astrattezza – ormai la fa da padrone una legislazione sempre più alluvionale, a carattere settoriale e provvedimentale. Né un’inversione significativa di tendenza si è prodotta con la breve stagione della “codificazione”, inaugurata all’inizio di questo secondo millennio ma subito interrotta (14 testi unici varati dal 2000 al 2003). Quando non hanno complicato le cose, mescolando insieme disposizioni legislative e regolamentari, finendo così per ostacolare il processo di delegificazione, questi “codici” si sono rivelati tali solo di nome, avendo introdotto infatti per lo più normative tecniche, senza nemmeno rinunciare al vieto strumento dei rimandi, come dimostra il caso del codice della privacy, che rimanda appunto ad altri 11 codici di settore.

Difficile prevedere se e quando qualcuno riuscirà a sconfiggere una volta per tutte questo caos normativo in cui ciascuno di noi è costretto a vivere. Nel frattempo, non ci resta che dichiararci tutti d’accordo con la scelta di Dante di spalancare le porte del Paradiso all’imperatore Giustiniano, che con la sua codificazione eliminò “dalla legge il troppo e il vano”.

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