Il 14 maggio scorso, sul quotidiano “Trentino” è apparso un articolo dal titolo “Fare i conti col simbolo Rostagno”, a firma di Gaspare Nevola, Ordinario presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale di UniTrento.
Il giorno successivo Il Foglietto ha dato notizia della dedica di una targa a Rostagno da parte dell’Università di Trento, dove lo stesso Rostagno aveva studiato e conseguito la laurea in Sociologia.
La nostra redazione - ritenendo l’articolo di Nevola un importante tributo alla memoria di Rostagno - gli ha chiesto l’autorizzazione a riproporre il suo editoriale sul Foglietto. Ha gentilmente acconsentito e per questo lo ringraziamo. (Red.)
Da ieri una lapide commemorativa arricchisce i corridoi del palazzo teresiano di via Verdi, sede storica dell’Università trentina, che ha visto la nascita della prima facoltà di Sociologia in Italia. A sottoscriverne la dedica è il mio dipartimento di Sociologia, unitamente agli ex-studenti storici di Sociologia: “Alla memoria di Mauro Rostagno, studente contestatore a Trento, laureato in Sociologia con lode, spirito libero, assassinato a Lenzi di Valderice (Trapani) per le sue inchieste sul fenomeno mafioso il 26 settembre 1988”.
Come ho già osservato in passato, a Rostagno è associata un’eredità storica che ci ha lasciato cicatrici pronte a riaprirsi e valutazioni contrapposte, che compongono un quadro di esperienze ambivalenti, contrastate e contrastanti. Nel corso dell’ultimo anno e mezzo, da quando l’affaire “memoria Rostagno” è riesploso pubblicamente per l’ennesima volta, ho sostenuto che è giunto il momento di agganciare il lavoro culturale e di memoria pubblica sull’eredità di Rostagno ad un passaggio intergenerazionale che sollecita ad una riflessione critica la mia generazione, la prima generazione “post-sessantottina” giunta a maturità, in raccordo con le generazioni più giovani e in dialogo con quella dei coetanei di Rostagno, senza lasciarsi assorbire da vissuti esistenziali e costellazioni politico-culturali che annodano e lacerano le memorie dei protagonisti storici. Le cose, però, camminano con le loro gambe e la direzione che esse prendono può lasciare perplessi o delusi.
Con la lapide dentro il palazzo di Sociologia, la questione della dedica a Rostagno trova un suo punto fermo. Possiamo voltare pagina? Ciascuno a suo modo. A me invita a riprendere qualche tema che mi sta a cuore.
Alla dedica si è arrivati a quasi trent’anni dalla morte di Rostagno. Questi “tempi lunghi” si spiegano non solo con la disattenzione, il disinteresse o la rimozione culturale ma anche con le divisioni e le polemiche che l’idea di questa dedica ha sempre suscitato in città, in Università, a Sociologia, e che perdurano. Divisioni e polemiche non vanno demonizzate né archiviate: esse possono essere un sintomo di partecipazione alla memoria, della sua vitalità. La figura di Rostagno ha diviso e divide. Perché è anche stato e rimane un simbolo del ’68, di una stagione storica molto effervescente, contraddittoria e controversa: egli rimane un simbolo di quel movimento studentesco attivo a Trento e in mezzo mondo, con tutte le sue differenti colorazioni politiche e ideologiche, pure estreme. È una stagione della nostra storia con la quale ancora oggi dobbiamo fare i conti: culturalmente, politicamente, scientificamente. Coltivare la memoria pubblica significa anche fare questo.
Una democrazia è tale se vive di pluralismo e critica, non di conformismo e indifferenza. Per sua natura è attraversata da divisioni e conflitti, anche ideali e simbolici, e dai tentativi di comporli. Le pratiche di una memoria attiva si muovono su due binari: quello dell’esperienza passata che viene ricordata e quello della commemorazione presente del passato. I gesti di memoria della Shoa, ad esempio, non si limitano ad ampliare le conoscenze sull’accaduto storico, ma si impegnano a creare un senso di compartecipazione simbolica, emotiva e valoriale all’esperienza del genocidio, a fornire ragioni e sentimenti affinché ciò non accada più. A cosa ci impegna la memoria del Rostagno del ’68? La vicenda storica legata al ’68 rimanda a una costellazione “rivoluzionaria”, fatta con protagonisti tesi a ridefinire comportamenti, immaginari, pratiche espressive all’insegna di cose come antiautoritarismo e sapere critico (non solo tecnico) dentro le università; libertà sessuale, femminismo, emancipazione dei gay; eguaglianza nell’individualismo, partecipazione politica e impegno collettivo; giustizia proletaria e anti-capitalismo, anti-imperialismo e rifiuto delle dittature sovietiche. Dovremmo guardare dritto in faccia una stagione che si disegna con poesie della Beat Generation, musica di Jimi Hendrix o Jim Morrison, Dylan e Jefferson Airplane, trascendentalismo e mistica orientali, folklore messicano, psichedelia e droghe, hippies, freaks e rockers, teologia della liberazione e Consiglio Vaticano II, California, Cuba, Vietnam, Praga. E con tante altre cose ancora, comprese le reazioni politiche e culturali a tali urti rivoluzionari: cose che possono piacere o no. Poi, presto, l’“idealismo attivo” generazionale di questa stagione degenera in violenza o tramonta nel “ritorno al privato”. Ma nel frattempo ha contribuito a fare il mondo in cui viviamo.
Rostagno è simbolo anche di questa stagione. E’ il presente, con i suoi modelli culturali e valoriali e le sue sensibilità, che dà il suo significato al passato commemorato e definisce la pregnanza delle sue figure simboliche. Il mio augurio è che la targa alla memoria di Rostagno non si risolva in tributo pagato all’esattore di una “falsa coscienza” o al facile consumismo di simboli e memoria, e nemmeno nella celebrazione di un “santino”. Un luogo della memoria può significare di più e di meglio.
Gaspare Nevola