“La pubblicità è il moderno surrogato della discussione: la sua funzione è far apparire migliore ciò che è pessimo”, diceva il filosofo George Santayana. Un aforisma smentito dal Giurì dello Iap, l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria, che con la pronuncia n.95 del 4 dicembre scorso, su ricorso dell’Associazione italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili (Assobioplastiche), ha bocciato la campagna intitolata “I soliti sospetti” del gruppo dei produttori di stoviglie monouso in plastica Pro.mo. Una vittoria non da poco, ove si pensi che questo gruppo produce il 75% delle plastiche vendute in Italia e che è stato costituito all’interno di Unionplast, l’associazione di settore che raggruppa i trasformatori italiani di plastica, che a sua volta fa parte della Federazione gomma plastica di Confindustria.
Ma cosa dicevano i due messaggi a puntate contestati? È presto detto: “La scientifica ha svolto indagini accurate – si legge nell’annuncio – E ha emesso il verdetto: assolti per insufficienza di prove”. Più sotto: “La ricerca scientifica di Life cycle assessment (Lca) ci ha dato ragione. E ha prodotto un risultato insospettabile. L’impatto ambientale delle stoviglie monouso in plastica risulta mediamente inferiore rispetto a quello delle compostabili”. Il secondo annuncio aggiungeva: “La scientifica ha svolto indagini accurate. Ne siamo usciti puliti (più di altri)”. Con un ulteriore messaggio: “La ricerca scientifica di Life cycle assessment (Lca) ha prodotto un risultato insospettabile. L’impatto ambientale delle stoviglie monouso in plastica risulta mediamente inferiore rispetto a quello delle compostabili. Una garanzia per l’ambiente”.
Il Giurì ha dichiarato i messaggi pubblicitari contestati non conformi a quanto previsto dall’art. 2 del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, trattandosi di pubblicità ingannevole per il consumatore medio, ordinandone l’immediata cessazione. Nel testo dei messaggi si faceva riferimento allo studio “Life cycle assessment (Lca) comparativo di stoviglie per uso alimentare – piatti monouso in prolipopilene (Pp), polistirene (Ps), acido poliattico (Pla), polpa di cellulosa e piatti riutilizzabili in porcellana bicchieri monouso in Pp, Ps, Pla, cartoncino laminato Pe e bicchieri riutilizzabili in vetro” (disponibile sul sito di Pro.mo. nel solo formato lettura e non divulgabile), che tiene in considerazione l’intero ciclo di vita dei diversi tipi di stoviglie e non il solo fine vita. Una metodologia di studio inusuale che va precisata, altrimenti, scrive il Giurì, “il messaggio si presenta ingannevole, perché il pubblico lo intende come riferito al ″fine vita″, e non all’intero ciclo”. Metodologia messa in discussione anche laddove si valuti l’impatto ambientale di prodotti diversi, ma dello stesso comparto, in quanto v’è “difficoltà a reperire dati adeguati e addirittura l’assenza di dati in ordine ad alcuni materiali”. È perciò una comunicazione capace di creare inganno perché basata su dati parziali.
Ma le ambiguità non sono finite, perché la pubblicità afferma che le stoviglie in plastica tradizionale hanno un minor impatto ambientale delle compostabili e garantiscono una maggior sicurezza igienica, senza precisare però che questo secondo raffronto è riferito a vetro e ceramica. «Quella pubblicità era ingannevole e confondeva il consumatore – spiega Francesco Ferrante, fondatore di Green Italia – Non bisognerebbe mai usare stoviglie usa e getta, ma se proprio lo si deve fare è meglio ricorrere a materiali che si degradano in sei mesi come i compostabili, che non in centinaia di anni come la plastica. Ci vorrebbe una legge che vietasse quelle in plastica derivata dal petrolio come si è fatto per gli shopper». L’Assemblea nazionale francese l’ha già fatto.
L’articolo è apparso anche su La nuova ecologia – Magazine di Legambiente