L’Intelligenza Artificiale ha un impatto ambientale che spesso viene sottovalutato. Tutti sappiamo del consumo di energia.
Addestrare e mantenere attivi i grandi modelli di IA richiede enormi quantità di elettricità, e questo comporta emissioni di CO₂ significative, soprattutto quando l’energia proviene da fonti fossili. Ma c’è un altro elemento fondamentale che merita attenzione: l’acqua.
Il consumo idrico è un problema crescente: i data center che alimentano l’IA devono essere raffreddati costantemente per evitare surriscaldamenti. Per farlo, si usano milioni di litri d’acqua ogni anno, spesso in aree già colpite da siccità o stress idrico. In alcuni casi, l’acqua viene utilizzata anche per ridurre indirettamente il consumo energetico, ma ciò non fa che spostare il problema da un piano all’altro.
E poi c’è la questione delle risorse minerarie.
Per costruire i dispositivi e le infrastrutture che rendono possibile l’IA - dai server alle reti globali - servono metalli rari e preziosi, come litio, cobalto, neodimio e tante altre cosiddette terre rare.
Questi materiali non solo sono estratti con costi ambientali altissimi, ma provengono in larga parte da regioni del Sud globale, dove lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali si intreccia con dinamiche di ingiustizia economica, disuguaglianze sociali e, spesso, violazioni dei diritti umani.
Insomma, l’IA non è immateriale. Dietro l’apparente “intelligenza” c’è un mondo fisico fatto di miniere, centrali elettriche e fiumi prosciugati. Se si vuole davvero affrontare il futuro in modo sostenibile, si deve iniziare a considerare anche l’impatto ecologico dell’innovazione digitale, e cercare soluzioni che siano davvero intelligenti: più efficienti, più eque e meno distruttive per il pianeta.
Sara Sesti
Matematica, ricercatrice in storia della scienza
Collabora con l'Università delle donne di Milano
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