Cosa può andar storto, viene da chiedersi, se anche l’Ocse nel suo ultimo Interim report, annuncia che l’economia è a un punto di svolta? Le ragioni sono diverse, già riepilogate all’inizio del documento: la crescita rimane resiliente, l’inflazione cala, i mercati del lavoro sono meno tesi e le banche centrali danno segnali di normalizzazione delle politiche monetarie.
Rimane tuttavia la preoccupazione, che si riflette nelle survey sulla fiducia dei consumatori, che tende al declino. In generale, il clima che si respira è quello di chi brinda alla scampato pericolo, con l’occhio preoccupato rivolto all’indomani. Sapere di trovarsi a un punto di svolta non risparmia certo dall’incertezza nascosta dietro l’angolo.
La svolta, peraltro, è vicina, ma non vicinissima. L’inflazione, ad esempio, nella sua componente core, quindi depurata da cibo fresco ed energia, è ancora sopra i target, anche se ormai ci siamo lasciati alle spalle lo stress di due anni fa.
Solo l’anno prossimo questa componente dovrebbe rientrare nei target di banca centrale. E chi ha buona memoria ricorderà che da almeno due anni i previsori ci raccontano questo ritornello. Dicono, vale a dire, che l’anno prossimo andrà meglio. La qualcosa più che una previsione somiglia a un auspicio.
Anche perché, e l’Ocse certo non lo nasconde, sono tali e tanti i fattori di rischio – si pensi solo alle tensioni geopolitiche – che un qualunque incendio capace ad esempio di infiammare le quotazioni petrolifere, è capace di vanificare il faticoso lavoro di disinflazione svolto negli ultimi trimestri.
Rimane poi il fatto che l’inflazione che cala non cancella quella trascorsa. I prezzi, per dirla diversamente, sono cresciuti e rimarranno a questo livello, crescendo ancora ma più lentamente di prima. E questo solleva una questione di redditi e, dulcis in fundo, di funzionamento corretto di un mercato del lavoro che non dovrebbe più soltanto guardare ai numeri degli occupati, ma al livello dei redditi reali.
Pensare che sia sufficiente avere occupazione per avere benessere dei lavoratori è un grave errore di valutazione. Un lavoratore che non ha un reddito sufficiente per vivere secondo gli standard che richiede oggi la nostra società è una fabbrica di frustrazione che nessuno società ben funzionante dovrebbe permettersi.
Infine, Ocse non fa mancare il suo consueto auspicio, questo davvero, sulla necessità di riforme strutturali “che promuovano l’apertura dei mercati con dinamiche competitive sane (..) per contribuire a incentivare una crescita economica più forte e sostenuta e attenuare le pressioni di bilancio sul lungo periodo”. Questo dopo aver invitato i governi a ricostruire gli spazi fiscali erosi dalle politiche straordinarie determinate dalla pandemia in vista di tempi peggiori. Purtroppo l’esperienza insegna che i consigli migliori vengono solitamente ignorati.
Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro “La storia della ricchezza”
coautore del libro “Il ritmo della libertà”
Twitter @maitre_a_panZ