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Sabato, 20 Apr 2024

renzi madiaCon un tempismo a dir poco sospetto, a quasi sette anni dalla scadenza dei contratti del pubblico impiego, governo Renzi e sindacati confederali ieri si sono dati appuntamento al ministero della Funzione Pubblica, tre giorni prima del referendum costituzionale, per illudere 3,3 milioni di lavoratori che la fine della sofferenza della loro busta paga è finita.

Peccato, però, che del fiume di danaro (5 miliardi di euro) di cui gli attori, sia di parte pubblica che sindacale, hanno parlato, non senza enfasi, subito dopo l’annuncio di quello che, impropriamente se non ad arte, è stato definito accordo, non vi è traccia. In pratica, il governo Renzi ha liquidato la questione con una promessa, che non vincola nessuno, a copertura della quale è stato dato un assegno a vuoto.

Infatti, numeri e conti alla mano, le risorse fino a oggi stanziate dal governo sia nella legge di stabilità 2016 che in quella del 2017, al massimo consentiranno l’erogazione ai lavoratori in media di 10/15 euro lordi mensili per il 2016 (meno di mezzo euro lordo al giorno) e di18/25 euro lordi mensili per il 2017 (60/75 centesimi lordi al giorno), per ottenere i quali non sarà certamente sufficiente la promessa di ieri sera, fatta in fretta e furia, ma occorrerà che venga preceduta da un atto di indirizzo da parte dello stesso governo, dall’approvazione del nuovo testo unico del pubblico impiego (bocciato nei giorni scorsi dalla Corte Costituzionale), dall’avvio della trattativa per ogni singolo comparto presso l’Aran e dalla firma dei singoli contratti.

Poiché è incontestabile che, essendo il contratto del pubblico impiego riferito al triennio 2016-2018 e che, ad oggi, non vi è alcuno stanziamento per coprire i costi relativi al 2018, la firma degli accordi all’Aran per ogni singolo comparto non potrà che avvenire nel 2018, quando, al massimo, i lavoratori del pubblico impiego, bene che vada, potranno totalizzare un incremento medio complessivo mensile lordo per l’intero triennio di 85 euro a regime (poco più di 50/55 euro netti, meno di 2 euro al giorno, a partire dall'ultimo anno di vigenza contrattuale). Dal predetto incremento dovrà essere, poi, detratta l'indennità di vacanza contrattuale, già erogata mensilmente ai lavoratori.

Ma il misero incremento retributrivo accordato ieri dal governo Renzi, quando avrà la copertura finanziaria, provocherà un'altra beffa: la perdita del famoso bonus da 80 euro da parte di circa 2/300 mila dei 900 mila dipendenti pubblici che lo percepiscono.

Molti si chiederanno: ma allora perché improvvisamente, dopo sette anni si silenzio, è partita nei giorni scorsi una corsa contro il tempo tra governo e sindacati?

Facile rispondere, perché fra tre giorni la compagine governativa si gioca la partita della vita e fare promesse pur di arrivare al traguardo non costa nulla.

Quanto ai sindacati confederali - dopo sette anni di inerzia e dopo essere stati ignorati da Renzi fin dall’inizio del suo mandato - ad essi non è parso vero di potersi sedere ad un tavolo che, però, di trattativa non era ma solo di propaganda governativa.

A farne le spese, purtroppo, sono sempre e solo i lavoratori, le cui buste paga continueranno a soffrire fino a quando non ci sarà un governo che ponga al primo posto la giustizia sociale e non il soccorso alle banche, alle aziende e agli evasori. E questo non potrà mai essere l’attuale compagine presieduta da Matteo Renzi.

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