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Sabato, 20 Apr 2024

“La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l'oppio dei popoli“, così scriveva Karl Marx, nel 1843, nel suo Critica del diritto pubblico di Hegel. Una frase che oggi - a distanza di 143 anni e dopo la rivoluzione e lo sguardo lucido di Papa Francesco - resta attualissima se solo sostituissimo la parola 'religione' con il lemma 'calcio'.

Questo è quel che ci insegna la vicenda dello stadio della Roma. Si preferisce violare più di una norma pur di accontentare e, quindi, avere il consenso elettorale della tifoseria, che - dicono - sogni un proprio stadio.

In tempi in cui ognuno è a caccia di un proprio recinto, di una propria identità, anche la propria fede calcistica diventa una sorta di micronazionalismo e va accontentata dandogli una “casa”. Meglio, forse, sarebbe dire illusa, giacché uno stadio, e di tutto rispetto, a Roma c'è ed è l'Olimpico che, a questo punto, sembra destinato a fare la fine del Maracanà o, più in piccolo e più da vicino, del Flaminio.

Si perde così un'occasione unica per far crescere le tifoserie sempre in guerra fra loro. Non sarebbe stato meglio decidere che Roma e Lazio cogestissero lo stadio Olimpico, con spirito di sana collaborazione sportiva?

Ma la politica di basso cabotaggio (tutta o quasi) di questi tempi, preferisce blandire piuttosto che far crescere i cittadini. A quale prezzo? Un prezzo altissimo in termini di costi ambientali, urbanistici e di qualità della vita, per una città che è sempre più invivibile e alla deriva.

Una città senza regole, o meglio, una città in cui le regole le dettano la finanza internazionale e le banche.

E sì, perché dietro alla pagliuzza nell'occhio del tifoso, c'è la solita trave della speculazione selvaggia, sempre in auge nella capitale d'Italia dove, dagli anni '60, è in atto un continuo saccheggio del territorio contro il quale, ogni tanto, sembrano arrivare dei “vendicatori”, che poi si rivelano peggio di chi li ha preceduti.

Così, Roma ha avuto un sindaco verde - che prometteva da subito un nuovo Piano regolatore che dettasse regole certe - andato via dopo sette anni e tre varianti di piano che, nonostante i nomi rassicuranti (“di salvaguardia”, “verde e servizi”, “delle certezze”), sdoganavano la possibilità di costruire in aree di pregio come ad esempio Tor Marancia, Saxa Rubra, Vejo.

A seguire, un sindaco che si diceva attento alle periferie, sulle quali ha fatto piovere le cosiddette centralità urbane, città nella città, con il nuovo Prg. È stato solo grazie alla mobilitazione dei cittadini se non si è costruito nelle aree di pregio ma a quale prezzo? Si è pensato bene di inventare un assurdo giuridico: la compensazione edificatoria. Ossia, si è data la possibilità ai costruttori di delocalizzare quelle cubature a parità di valore economico in altre aree. Ciò ha fatto sì che, in molti casi, le cubature triplicassero. Come? Sopravvalutando l'area di partenza e sottovalutando quella di atterraggio.

Risultato: un nuovo Piano regolatore in cui le cubature, che pure si dovevano prevedere, visto che il Prg è uno strumento di programmazione di lunga durata, sono lievitate ben oltre il dovuto.

Ciò è servito a rilanciare l'economia cittadina? No. Le case invendute nella capitale sono almeno 250 mila. È servito a dare lavoro ben remunerato? No, un giovane ingegnere mediamente è pagato tra i 300 e gli 800 euro, quando proprio gli va bene 1.000. E gli operai? Quanti lavorano in nero, quanti sono vittime di incidenti? Tanti, troppi.

È servito a far scendere il prezzo delle case? No, perché si è costruito con finanziamenti bancari, ottenuti sulla base delle concessioni in mano agli imprenditori. Buona parte dei crediti insoluti delle banche sono un esito di questo meccanismo perverso, e non solo a Roma.

Insomma, buona parte, della crisi delle banche per la quale come cittadini pagheremo un conto salatissimo che, al momento, sembra essere di 20 miliardi, ma che alla fine sarà molto più alto, discende dal debito che il comparto delle costruzioni ha contratto con le banche. Il paradosso è che se un cittadino qualsiasi non paga qualche rata di mutuo, con le nuove regole sancite dal governo Renzi, perde immediatamente la casa, mentre per chi ha debiti per centinaia di milioni il buco si tappa con la lievitazione delle cubature.

Si dirà cosa c'entra tutto questo con lo stadio della Roma? Questo è proprio il meccanismo che ha portato a far sì che in un'area dove da Piano regolatore si potrebbero costruire appena 69mila mq si arrivi a chiederne 354mila (pari a 1.196.800 metri cubi) che, stando a quanto trapelato della riunione di martedì scorso tra amministrazione comunale e dirigenti dell'AS Roma, potrebbero scendere a 285mila (939.600 metri cubi) e cioè oltre 200mila al di sopra di quanto consentito dal Piano vigente.

Ma come si è arrivati a questa lievitazione di cubature, per di più poste su un'ansa del Tevere - a Tor di Valle, dove esiste l’omonimo ippodromo attualmente abbandonato - in un'area a forte rischio idrogeologico, anche per la convergenza verso il fiume del Fosso di Vallerano? Ecco detto: grazie all’approvazione di tre commi (art. 1 commi 303-304-305), inseriti nella legge di stabilità (147 del 2013), che consentono a privati di avanzare progetti per realizzare nuovi complessi sportivi, che assumono interesse pubblico e, perciò, si riconosce a costoro il diritto ad avere cubature aggiuntive per compensare i costi derivanti dalla realizzazione delle infrastrutture e delle opere di pubblica utilità necessarie, in modo da garantire la sostenibilità economica dei progetti stessi.

Nello specifico, l’intervento prevede una zona “A” , con il mix funzionale dei nuovi grandi impianti sportivi (oltre allo stadio da 52.500 posti espandibili fino a 60mila, la sede della Roma AS, un centro tecnico per gli allenamenti, un Maxistore Nike, un “Roma village” con 245 negozi, boutique, ristoranti; uno spazio per eventi) e una zona “B”, chiamata “Business park”, costituita da tre  grattacieli ed edifici “ecosostenibili” alti 200 metri destinati a direzionale, ricettivo, commerciale (non appartamenti, esplicitamente esclusi  dalla stessa legge).

E’ poi prescritta - oltre alle opere previste dagli standard di legge (parcheggi, verde pubblico, sistema smaltimento acque idrovore - una serie di infrastrutture a servizio della struttura (asse di collegamento Ostiense-A91, ponte carrabile sul Tevere e viadotto di approccio, svincolo autostradale Roma-Fiumicino, riunificazione e messa in sicurezza Ostiense, ponte ciclopedonale Magliana, stazione Tor di Valle con ponte su Tevere, prolungamento metro B e messa in sicurezza del fosso di Vallerano), che si spera non resti nel libro delle buone intenzioni, come sempre accade a Roma. Sulla carta, il totale dell’operazione è di 1,656 miliardi, completamente a carico dei privati.

Insomma, importi non di poco conto, specie ove si consideri che l'area dell'intervento è stata acquistata nel marzo 2010 per “appena” 42 milioni dalla società Eurnova del gruppo Parnasi. Un acquisto su cui indaga la magistratura perché sembrerebbe che il terreno facesse parte del patrimonio di una società in fallimento.

Sia come sia, il gruppo imprenditoriale acquista l'area con un finanziamento della Unicredit, con la quale è già molto esposto, c'è chi parla di oltre 700 milioni (vedasi, ad esempio La banca, il tycoon e il patron, così l’azzardo sullo stadio della Roma diventa un affare miliardario di Daniele Autieri su La Repubblica dell'8 febbraio scorso).

Dunque, se il progetto andrà in porto, come sembra, la prima banca italiana, che proprio in questo momento, nonostante le turbolenze di borsa, sta per lanciare la più grande operazione di ricapitalizzazione mai avvenuta nel nostro paese (13 miliardi), non può permettersi contemporaneamente di perdere risorse sul fronte stadio.

Unicredit, perciò, stando a quanto scritto da più giornali, per recuperare il debito del costruttore capitolino ha istituito un apposito veicolo societario, la Capital Dev, di cui detiene la totalità delle azioni ed in cui sono confluite le partecipazioni delle più importanti iniziative immobiliari dei Parnasi, ad eccezione dei terreni dello stadio. Perché? Il Business park che circonderà lo stadio svilupperà 318.202 metri quadri che, calcolando (tenendosi bassi), un valore medio di mercato intorno a 6-8.000 euro al metro quadro nella zona, corrispondono ad un valore immobiliare tra 1,9 e 2,5 miliardi.

Non poco, considerando che si era partiti da 42 milioni!

Infinitamente di più, ove si consideri che si è arrivati ad una tale lievitazione di cubature perché la spesa necessaria per le opere infrastrutturali e i servizi è stata stimata in 445 milioni rispetto ad un'opera valutata poco più di 800 euro al metro quadro, in base alla delibera (la 132/2014) dell'Assemblea capitolina, che dava il via alla realizzazione del progetto “stadio”.

In definitiva, una ricca torta, tant'è che, per racimolare le risorse necessarie alla realizzazione del progetto sono scesi in campo addirittura due advisor del calibro di Goldman Sachs e Rothschild.

Si dirà che questo progetto mette in moto molte risorse. Non è detto. Una cosa è certa: un quadrante di città ne uscirà devastato, la qualità della vita di chi vi abita peggiorerà sensibilmente e i costi di gestione della città continueranno a lievitare, come le cubature.

Ma v'è di più. Se una cosa buona l'aveva il nuovo Piano regolatore, era che finalmente si erano date regole certe e che si usciva dall'anomalia del “pianificar facendo” e dell'urbanistica contrattata, che vedeva sempre vincenti i grossi costruttori (in particolare, i detentori di giornali). Procedure che tanto male hanno fatto alla città e soprattutto alle sue periferie, oltre ad aver contribuito, con i suoi elevati costi di gestione, all'esorbitante debito cittadino.

Se dalle altre forze politiche tradizionali ci saremmo aspettati la continuazione dell'urbanistica contrattata, da chi si definisce portavoce dei cittadini, da chi ha fatto di partecipazione e trasparenza i propri obiettivi, per chi, anche a sinistra, rappresentava una speranza di cambiamento, non ci si sarebbe mai aspettati simili compromessi a perdere per la città.

Ma come diceva quel politico che ci è stato tanto inviso e che oggi, rispetto a quelli odierni, appare un gigante, “il potere logora chi non ce l'ha”. Come dire, non appena si è al potere ci si adegua, si “diventa un pezzo di potere immutabilmente uguale a se stesso, chiunque lo incarni”, come ha scritto Tomaso Montanari.

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P. S.

Per riprendere Andreotti, siccome “a pensar male si fa peccato ... ma spesso si indovina”, vien da pensare che l’ex assessore Berdini sia stato vittima sacrificale di chi lo stadio oggi lo brama. Dopo averne bocciato e denunciato il progetto, in un recente passato.

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