E’ destinata a fare rumore in ambito universitario la sentenza n. 104/2017 con la quale la Corte Costituzionale ha giudicato incostituzionali - per violazione degli articoli 76, 33, 34 e 97 della Costituzione della Repubblica italiana - gli articoli 8 e 10 del d.lgs. n. 49 del 2012 che introducevano il criterio del ‘costo standard per studente in corso’ nel sistema di ripartizione del Fondo per il finanziamento ordinario (FFO) degli atenei.
Il costo standard per studente, che dovrebbe andare progressivamente a sostituire il criterio della 'spesa storica', deve tenere conto della tipologia del corso di studi, delle dimensioni dell’ateneo e dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’università. Maggiore è il costo standard sostenuto e più alto è il finanziamento che l’ateneo riceve per studente. Con il rischio di forti sperequazioni se non si tengono in debita considerazione tutti i fattori che incidono sui costi.
Tutto ha origine con la Legge n. 240/2010 che delegava il Governo a emanare decreti legislativi finalizzati a riformare il sistema universitario sotto vari profili, incluso il sistema di finanziamento.
Il d.lgs 49/2012 (governo Monti, ministro dell'Istruzione prof. Profumo) – secondo le censure mosse dalla Corte - si limitava a ripetere i contenuti della delega e a demandare per intero a decreti ministeriali le questioni più importanti, ovvero la determinazione degli indicatori in base ai quali calcolare il costo standard, nonché la precisazione delle percentuali del FFO destinate a essere ripartite in base a tale nuovo criterio.
Con decreto interministeriale 893/2014 il Miur, di concerto con il Ministero dell’Economia e Finanze, sentito l’Anvur stabiliva le modalità di calcolo dell’indicatore di costo standard e fissava al 20% la quota di FFO da finanziare secondo tale criterio nel 2014 (poi salita al 25% nel 2015 e al 28% nel 2016, con l'obiettivo di raggiungere il 100% nel 2018).
L’Università degli Studi di Macerata, ritenendosi danneggiata dal provvedimento che «lungi dal dipendere da criteri meritocratici, o da una corretta stima dei costi che gli atenei devono sostenere», sarebbe invece «il frutto, più o meno casuale, di un sistema cervellotico e assurdamente congegnato dalla burocrazia ministeriale, nel completo silenzio del legislatore», adiva il Tar del Lazio il quale a sua volte sollevava la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte.
La difettosità dell’iter sta nel fatto che il d.lgs ha demandato al decreto ministeriale le competenze che il legislatore aveva affidato al Governo senza aggiungere praticamente nulla ai contenuti dei principi e criteri direttivi definiti con la Legge delega, violando, quindi l’articolo 76 della Costituzione.
Ora la palla torna nuovamente nelle mani del Governo che, inutilmente, in sede di giudizio ha invocato il danno per il mancato rispetto di obblighi comunitari in materia di organizzazione universitaria, del Patto di stabilità e crescita e perfino del Fiscal Compact, che sarebbe derivato per l'Italia in caso di accoglimento del ricorso.