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Giovedì, 25 Apr 2024

Nell'agosto del 2014, su una prestigiosa rivista scientifica è stato pubblicato un lavoro di un gruppo di ricercatori del CNR, che evidenzia una faglia in una ben nota zona della Val D'Agri, in Basilicata, che nel 1857 fu devastata da un terremoto di magnitudo superiore a 7 che provocò decine di migliaia di vittime.

È comunque noto, al di là di ogni dubbio, che la Val D'Agri, come buona parte della Basilicata, è una delle zone a massima pericolosità sismica del territorio nazionale.

È noto che in quei luoghi vengono attivamente effettuate estrazioni petrolifere.  

È noto che alle estrazioni petrolifere sono necessariamente associate reiniezioni di fluidi pressurizzati.

Ne consegue che fluidi pressurizzati vengono iniettati in una zona che è fra quelle a maggior pericolosità di tutto il Mediterraneo.

È stato messo in luce, con grande energia, da numerosi esperti di vari enti di ricerca, da docenti universitari, da funzionari ministeriali e della Protezione Civile che la possibilità di sismicità innescata o indotta da iniezioni di fluidi nel sottosuolo deve essere presa in serissima considerazione, specialmente in un Paese ad elevatissimo rischio come il nostro.

Inoltre, una commissione internazionale di esperti (denominata con l'acronimo ICHESE), costituita dalla Regione Emilia Romagna e dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), per identificare le cause delle scosse emiliane del 2012, giunse alla conclusione che non si poteva escludere che le reiniezioni di fluidi in una località ben definita (Cavone) fossero all'origine dei due terremoti devastanti del 20 e 29 maggio di quell'anno. Anche il coordinatore della sezione sismica della Commissione Grandi Rischi partecipò attivamente ai lavori di ICHESE, il che non può che rappresentare un'ulteriore garanzia ufficiale della validità delle conclusioni raggiunte.

Purtroppo, da tre anni siamo informati, grazie al lavoro citato inizialmente, che nella zona delle reiniezioni della Val D'Agri sussiste una pericolosissima faglia attiva, che si estende addirittura fino alla superficie terrestre.

La situazione, allo stato attuale delle cose, è, quindi, fortemente critica. Forse per questa ragione il MISE, la Regione Basilicata e l'INGV hanno stretto un accordo per creare uno speciale sistema di monitoraggio per quella particolare zona.

Non ci è dato sapere i dettagli tecnici di quel monitoraggio e quali tecnici e ricercatori sono stati coinvolti nello stilare l'accordo. Sappiamo solo che la Regione Basilicata ne ha autorizzato la stipula a dicembre scorso. Non si sa se l’attività sia iniziata, né, in caso affermativo, quali siano stati, fino a oggi, i risultati che, stando a quanto previsto dall’art. 8 dell’accordo stesso, saranno "diffusi, in forma aggregata", con modalità che non appaiono proprio chiare, sui siti web dedicati di MISE, Regione e Arpa Basilicata. Ma, chissà perché, non su quello dell’INGV. Comunque, sicuramente per nostri limiti, non siamo riusciti a trovare i dati di cui trattasi. Ancor più grave sarebbe se il monitoraggio non fosse ancora iniziato.

Sappiamo con certezza solo due cose, estremamente inquietanti.

La prima, è che il sistema di monitoraggio adibito al controllo delle operazioni verrà pagato da ENI, cioè dal controllato.

La seconda, è che detto monitoraggio funzionerà con il sistema cosiddetto "a semaforo". In altre parole, appena venissero registrati fenomeni non usuali per la zona (non possiamo sapere di che tipo perché nulla è dato sapere sugli aspetti tecnici del monitoraggio previsto) si interromperebbero immediatamente le reiniezioni. Proprio come in un semaforo: quando scatta il rosso, le automobili frenano e non si verificano incidenti. Sfortunatamente, nella crosta terrestre i processi non sono controllabili: anche se si "frena", cioè anche se si interrompono tempestivamente le iniezioni di fluidi, non è detto che si possano bloccare processi geodinamici ormai irreversibilmente innescati e che potrebbero divenire catastrofici non nell'immediato.

Stiamo parlando di questioni delicatissime che attengono alla sicurezza delle persone, dei nostri concittadini della Val D'Agri e degli stessi tecnici delle compagnie petrolifere che vi lavorano.

Una cosa è indiscutibile: un ente statale di Ricerca finanziato completamente dallo Stato ha l'assoluto dovere prioritario di dedicarsi alla difesa dei cittadini, difesa che deve essere tempestiva e non può essere secondaria a nessun altro interesse, anzi deve essere anteposta a qualunque altra cosa. Su questo Il Foglietto ha scritto tante volte e continuerà a farlo.

Dopo il sisma irpino del 1980, la difesa dei cittadini e dello Stato dai terremoti è il motivo fondamentale per cui l'ING prima, e l'INGV dopo, è stato decisamente potenziato.

L'indipendenza dell'INGV è garantita dalla Carta Costituzionale. I ricercatori dell'INGV nella loro attività rispondono alla Carta e ai metodi della moderna Scienza galileiana. Solo così si può pretendere la fiducia di noi cittadini.

Fiducia che – a nostro avviso - rischia di essere irrimediabilmente minata da comportamenti che si appalesano contrari alla difesa dei cittadini stessi, come, ad esempio, la stipula di un contratto triennale con l’ENI, risalente al 7 luglio 2013, di cui siamo venuti a conoscenza in questi giorni, avente ad oggetto “Servizi di ricerca, studi e rilevamenti in campo geofisico, sismologico e geochimico”, per un importo a favore dell’INGV di oltre 1,1 milioni di euro, i cui risultati non sono mai stati resi pubblici, a causa di alcune clausole contrattuali – incredibilmente accettate dallo stesso INGV – in base alle quali senza autorizzazione dell’ENI, non possono in alcun modo essere divulgati all’esterno.

Ed è questo il motivo per il quale l’INGV, a novembre scorso e qualche giorno fa, non ha consentito l’accesso agli atti a due battagliere associazioni ambientaliste della Basilicata, Cova contro e Mediterraneo No Triv. Quest’ultima si è vista rigettare l’istanza anche dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi.

Una vicenda grottesca e paradossale, che mortifica i tanti cittadini della Val d’Agri, e non solo, che hanno il sacrosanto diritto di essere informati, con tempestività e con rigore scientifico, sulle possibili conseguenze che potrebbero derivare dall’estrazione petrolifera nel loro territorio, che è ad altissimo rischio sismico.

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