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Sabato, 20 Apr 2024

Pane e circo usavano gli antichi romani per tenere buona la plebe cittadina. Stomaco pieno e mente distratta, poco ma sicuro, sono il miglior viatico per una società tranquilla. E, perciò, anche oggi, che il circo del total entertainment è più sfavillante che mai, serve solo un po’ di pane – inteso come tutto ciò che serve per dirsi cittadini del nostro tempo – per impedire che una massa sempre più hi tech si svegli dal torpore che le regala la rete. Basta guardarsi intorno. Milioni di occhi sono costantemente incollati sugli schermi degli smartphone guardando là dentro, anziché là fuori, vittime di un incantamento che è troppo radicale per non essere sospetto.

Quando si scopre con raccapriccio che i bambini sono le prede più indifese di questo incantamento – nessuno di loro riesce a sfuggire alla seduzione del telefonino di mamma o papà – diventa subito chiaro che siamo alle prese con qualcosa di più che una semplice tecnologia. Siamo finiti nel vortice di un cambiamento radicale delle nostre consuetudini il cui esito è ignoto a ognuno e però tutti ne subiremo le conseguenze.

A fronte di ciò non sorge alcuna forma di reazione, nemmeno dubbiosa. Digeriamo i nuovi modelli di smartphone con uno sguardo idiotizzato dal desiderio. Ascoltiamo estasiati dei progressi tecnici e non chiediamo altro che aumentino: più potenza di calcolo, più connessione, più, più più. Ma se chiedete a uno qualunque di quelli che vivono con gli occhi attaccati al computer da taschino cosa cerchino esattamente lì dentro, ascolterete solo una risposta: tutto. Ossia niente. La nientificazione del desiderio, dissimulata dalla bulimia delle informazioni è l’esito finale di questo accecarsi davanti a schermi sempre più sottili. Volere tutto e saziarsi di questo desiderio, di fatto annichilendolo, al modico costo di un aggeggio e di una connessione, covando la speranza di entrarci dentro sul serio, come Alice dentro lo specchio. Tramutarsi nell’oggetto del desiderio di qualcun altro, sotto forma di bene di consumo, qualunque sia: artistico, professionale, sessuale.

Il problema è che, per quanto modico, questo costo deve essere pagato. La retorica della gratuità della rete non arriva a nascondere che l’idiotizzazione digitale minacciata dall’abuso di questa tecnologia, richiede, oltre al costo del device e della connessione, che la persona abbia vitto e alloggio, oltre a quel minimo di servizi che caratterizzano la nostra esistenza. Pure ammettendo che finiremo tutti per istruirci gratuitamente con i corsi on line, avremo sempre bisogno, ad esempio, di essere curati dalle malattie. Ed è in questo riconoscimento di realtà che acquisisce dignità di dibattito politico il tema del reddito di cittadinanza, in un mondo – si dice – dove il progresso tecnico, ancora esso, minaccia di distruggere assai più posti di lavoro di quanti ne crei. Poiché il progresso distrugge il reddito di molti, questi molti devono essere ripagati dal progresso.

Questo più o meno il ragionamento, che passa per soluzioni belle a dirsi, almeno quanto difficili a realizzarsi, come la tassa sui robot, o il pagamento di maggiori tasse ai giganti di internet, che poi sono i grandi protagonisti di questa rivoluzione. Si esplorano soluzioni, ma poi la realtà torna a bussare alla porta di tanti fantasiosi affabulatori – di quelli che un click salverà il mondo – e viene fuori che il reddito di cittadinanza, non volendo far fallire definitivamente le contabilità pubbliche, al più può essere una paghetta, arrivando persino a peggiorare la situazione dei meno provvisti di risorse.

Una buona rassegna tecnica, su proposte ed esiti prevedibili, è contenuta in un’analisi a cura di Silvia Merler, pubblicata da Bruegel, un pensatoio europeo che si occupa di cose economiche e che esordisce ricordando alcuni lavori pubblicati dall'Ocse proprio sul tema, a significare l’attenzione, ormai molto seria, che questo sta sollevando, confermata da un progetto pilota lanciato in Finlandia, dove verranno distribuiti 560 euro mensili a 2.000 cittadini selezionati nel bacino del welfare, togliendo loro altri benefit. I lavori dell'Ocse sul tema Universal basic income (UBI), ossia reddito universale minimo, arrivano alla conclusione che “senza tasse addizionali, un sistema di reddito minimo sarebbe molto lontano dallo sradicare la povertà”. Questo grafico lo mostra con chiarezza.

In sostanza, a budget fiscale neutro, i benefici per i più bisognosi che deriverebbero da un reddito di base sarebbero, per il nostro paese, pressoché analoghi a quelli di cui si gode attualmente e di poco superiori per gli altri considerati nell’analisi. Un altro metodo per provare a quantificare quale dovrebbe essere questo reddito base è quello che considera il livello di benefici minimi garantiti dai sistemi di protezione sociale – guaranteed minimum-income benefits (GMI) – ma questo metodo ha lo svantaggio di non tener conto che molti individui ricevono altre risorse aggiuntive, che andrebbero perdute nel caso si scegliesse, al loro posto, di erogare un basic income fisso. In sostanza, ci perderebbero. “Un reddito base socialmente e politicamente significativo – osserva l’analisi di Bruegel – richiederebbe probabilmente spese addizionali per i benefit e maggiori entrate fiscali per finanziarle”. Ed ecco che inizia a emergere il primo pezzo di verità.

Il secondo si arguisce osservando nel dettaglio le simulazioni Ocse. “Mentre un reddito universale di base è semplice, – scrive l’autrice – il sistema esistente di benefit non lo è e sostituirlo con un tasso flat di benefici produce complessi pattern di guadagni e perdite”. Non è insomma il bengodi che uno si immagina. Potrebbe pure succedere che molti che ricevono benefici dal sistema di assistenza sociale ci perdano col reddito di base.

Bruegel prosegue citando l’analisi di Robert Greenstein, del Center on budget and policy priorities, che discute dell’idea, focalizzata sugli Usa, di Charles Murray che ha proposto sul WSJ, che ogni cittadino statunitense di età superiore ai 21 anni possa aver diritto a 13.000 dollari annui accreditati in rate mensili sul proprio conto corrente, 3.000 dei quali espressamente dedicati alla copertura delle spese sanitarie tramite assicurazioni, e, il resto, ossia 10.000 dollari, a disposizione del cittadino. Una proposta che ha il vantaggio di quantificare la paghetta di cittadinanza che si immagina per gli statunitensi. Diecimila dollari l’anno sono circa 800 dollari al mese, circa 700 euro, più che sufficienti per godersi il circo digitale e mangiare fast food.

A parte ciò, è interessante osservare che versare 10 mila dollari l’anno a 300 milioni di americani, significa gettare sul bilancio dello stato un conto da oltre tre trilioni di dollari, ossia tremila miliardi, ogni anno. Una spesa che corrisponde “a più di tre quarti del bilancio federale ed è uguale a quasi il 100% delle tasse che il governo federale raccoglie”. Come dire: il finanziamento del reddito di base, pure se è una paghetta, solleva problemi assai complessi da risolvere, sia oggi che nei prossimi anni, pure nell’ipotesi, caldamente sponsorizzata dai suoi sostenitori, che il reddito base si sostituisca al welfare state così come siamo abituati a conoscerlo. Ipotesi che convince poco Greenstein, ma che, comunque, seduce molti teorici convinti che ciò responsabilizzerebbe maggiormente l’agente economico. Ne riparleremo.

Intanto, vale la pena esplorare altre posizioni elencate nel paper se non altro per comprendere le grandi difficoltà che si incontrano solo per provare a definire una misura concreta della povertà e, quindi, individuare i soggetti che avrebbero bisogno di sostegno del reddito. Compito complesso nelle nostre ricche società, dove non è più possibile ridurre tutto alle categorie economiche di base: vitto, alloggio, vestiti, eccetera. Basta leggere l’indagine Istat sulla povertà, per osservare che nel livello minimo di vita sotto il quale si è ufficialmente in povertà ci sono anche alcuni servizi considerati essenziali. Il ragionamento vale ovviamente anche per i paesi emergenti e le soluzioni per certi versi sono rese più complesse anche dalle loro peculiarità.

Alcuni studiosi, come Shanta Devarajan, propongono, ad esempio, che i paesi esportatori di risorse naturali condividano maggiormente con la popolazione i frutti della loro rendita anziché sussidiarli. E, in tal senso, un reddito di base potrebbe essere lo strumento più semplice da attivare. “Un trasferimento del 10% delle rendite petrolifere – scrive – potrebbe effettivamente eliminare la povertà in alcuni paesi esportatori di petrolio”. Ma il tema non si sarebbe mai innalzato agli onori della cronaca se si fosse trattato dei poveri africani e di come aiutarli. Il tema è rilevante perché di reddito di base si parla con sempre maggiore frequenza nelle nostre ricche e viziate società, adducendo come pretesto il fatto che la tecnologia – che poi ha prodotto il circo di internet – impoverisce drasticamente la quota lavoro nei paesi avanzati.

In tal senso, l’opinione di Rick McGahey, che sottolinea proprio il lento erodersi della labor share generato dal progresso tecnico che indebolisce la capacità contrattuale dei lavoratori e, quindi, le loro retribuzioni, con esiti deprecabili sul livello della diseguaglianza e della domanda aggregata. McGahey consiglia prudenza a coloro i quali consigliano di scardinare i sistemi di welfare per consegnare ai singoli, previo il pagamento di un reddito di base, la responsabilità della propria esistenza, istanza molto popolare all’interno di un certo pensiero liberal-libertario. Ciò in ragione del fatto che, al di là del progresso tecnico, i cui esiti ancora non sono chiaramente osservabili, il tema rilevante dovrebbe essere quello di garantire la capacità contrattuale dei lavoratori, piuttosto che “saziare” i lavoratori con un reddito di base.

Altri, come Nathan Keeble, del Mises Institute, denunciano i rischi del reddito di base, che è capace di scoraggiare chi cerca lavoro, oltre a finire col peggiorare la tassazione su chi lavora per pagare chi invece non lo fa. Oltre a finire col favorire la cattiva allocazione delle risorse perché i consumatori, sussidiati, sussidiano a loro volta i settori inefficienti della produzione. Il tema del reddito di base, l’abbiamo già detto, è stato discusso ampiamente anche dal pensiero economico liberale e libertario, prendendo come spunto alcune asserzioni di economisti liberali Von Hayek e Friedman. Ma in questo campo si dice e si è detto sostanzialmente tutto e il suo contrario e neanche i liberali di oggi sono d’accordo sul principio, come testimonia uno scambio fra economisti di area liberale di qualche tempo fa.

Questa breve rassegna serve a farsi un’idea di quanto profonda sia la differenza fra i sogni e la realtà quando si parla di reddito di base, o di cittadinanza che dir si voglia. Il succo è presto detto: servono molti più soldi di quanto gli stati ne possano spendere per dare dignità a uno strumento del genere, e non è affatto detto che alla fine si riesca ad andare oltre a una paghetta, terremotando al contempo – per pura necessità contabile – tutto il sistema di benefici del welfare.

Perché se ne parla allora? Perché il problema esiste. E il problema non è il reddito di base, ma il fatto che si teme che masse crescenti di popolazione – la nuova plebe – venga lasciata indietro a causa dei processi economici. E oggi, esattamente come ieri, l’idea di masse affamate che vagano per i paesi avanzati cercando pane e connessione internet spaventa comprensibilmente chi le deve in qualche modo governare. In tal senso, il reddito di base è un tentativo di addormentare il problema. Per risolverlo serve ben altro. Servirebbe un’economia funzionante che generi ricchezza, non limitandosi a pensare a come distribuire quella che c’è. Ma è sicuramente più difficile. Meglio far baluginare l’idea di un reddito per tutti, anche se basso, e contare sul fatto che molti preferiscono il poco ma sicuro a un reddito normale ma incerto.

La politica ama le scorciatoie. L’economia purtroppo no.

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giornalista socioeconomico - Twitter @maitre_a_panZer

L’articolo è stato pubblicato anche sul n. 34/2017 di Crusoe, newsletter in abbonamento prodotta da Slow News

 

 

 

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