Con un ricorso al Tar Marche, un lavoratore dipendente sosteneva l’illegittimità del provvedimento con il quale l’amministrazione aveva mutato il suo incarico che, a suo dire, rappresentava un demansionamento, atteso che sarebbero mutate in pejus le proprie condizioni lavorative sia in relazione alle mansioni di provenienza, sia in relazione alle mansioni normativamente previste per la qualifica ricoperta.
Con sentenza n. 72072017, il Tribunale adito è stato di diverso avviso, respingendo tutte le istanze del ricorrente.
Per i giudici amministrativi, infatti, la dequalificazione (o demansionamento) si distingue da altre condotte datoriali (mobbing e bossing) illecitamente finalizzate a mortificare il lavoratore al di là di qualunque ragionevole misura, con lo scopo, rispettivamente, di farlo sentire colpevolmente o incolpevolmente amareggiato (mobbing) e di allontanarlo dall'ambiente lavorativo (bossing).
La dequalificazione professionale, invece, consiste – secondo il Tar – fondamentalmente nel denegato riconoscimento della qualifica impiegatizia acquisita dal prestatore di lavoro, previo affidamento, allo stesso, di incarichi che presentino un minor grado di responsabilità e di rilevanza all'interno dell'ufficio, incarichi che dovrebbero essere affidati al personale collocato nelle qualifiche inferiori.
Se l'adibizione del dipendente a mansioni inferiori comporta, di regola, la sua dequalificazione professionale, qualora all'assegnazione si accompagni una condotta datoriale lesiva e denigratoria, cioè se l'attribuzione dei compiti di minore qualità si palesi quale pretesto finalizzato a vessare il dipendente, verrà a configurarsi un vero e proprio mobbing.
Nel caso di specie, le nuove mansioni assegnate al dipendente, da svolgersi in un diverso ufficio, non erano di livello inferiore ma equivalenti a quelle svolte in precedenza, per cui non erano indice di un demansionamento.
Da qui, il rigetto del ricorso.