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Martedì, 16 Apr 2024

Giovedì 5 ottobre, avevamo dato notizia di quelli che potevano essere i provvedimenti governativi per università ed enti di ricerca presenti nella emananda di legge di bilancio.

Lunedì scorso, il premier Gentiloni e il ministro dell’economia, Padoan, hanno illustrato alla stampa, per sommi capi, il testo della proposta di legge che, nella versione completa, dovrebbe arrivare soltanto domani al Senato e, per la quale, siamo certi che verrà chiesto l'ennesimo voto di fiducia.

Da quanto emerso finora, appare ben poca cosa – soprattutto rispetto alle ingenti risorse pubbliche che fino a oggi sono state destinate a ripianare le voragini create dolosamente da tanti istituti di credito – sia per l’Università che per gli Enti di ricerca, dal momento che le assunzioni complessive di ricercatori difficilmente potranno superare le 1500/1600 unità (in un primo momento, si era parlato di più del doppio), di cui appena 300 per gli Epr, mentre per l’annosa vicenda del recupero degli scatti stipendiali “sottratti” ai docenti dal 2011 al 2015, la soluzione sarebbe quella meno costosa, ovvero la trasformazione degli stessi scatti da triennali a biennali, che permetterebbe il recupero del maltolto in tempi biblici e non per tutti, ma solo per i più giovani.

Possiamo dire che la montagna ha partorito il topolino, che lascerà sul tavolo del tutto irrisolti i gravi problemi che affliggono università e ricerca, in primis, il problema del precariato.

Una manovra miope, che rivela l'assenza di qualsiasi progetto di sviluppo per il Paese se non quello di arrivare a vincere la prossima tornata elettorale. E sì perché, questo governo si illude di vincere, con una legge elettorale costruita ad hoc e con una legge di bilancio che prevede ulteriori bonus alla propria base elettorale e sociale. La speranza, forse, è che la maggioranza degli italiani, ormai nauseata da un ceto politico sordo e incapace, non vada a votare. Ma non è detto, perché le condizioni di vita della gran parte dei cittadini sono sempre più difficili e chissà che non ci sia una richiesta forte di cambiamento. Un fatto è certo, si è persa l'ultima occasione per dare al paese una prospettiva di sviluppo, specialmente considerato che da dicembre comincerà a chiudersi l'ombrello del quantitative easing della Bce.

Piuttosto che investire in istruzione, ricerca e università, nel lavoro per i giovani si è preferito proseguire con la politica dei bonus ai diciottenni e a chi recupera il proprio giardino o terrazzo (36% di detrazione sulle spese).

Una classe politica che, ancora una volta, si è dimostrata avulsa dalla realtà che la circonda si è rifiutata di abolire i super ticket sulla sanità e stanzia appena 600milioni per il reddito di inclusione. E dire che diverse indagini confermano un aumento della mortalità, dovuto al fatto che sempre più persone non hanno le risorse per curarsi. Un dato, quello della mortalità e, quindi, della speranza di vita, di cui il governo non vuol tener conto, soprattutto per il calcolo dell'età pensionabile che nel 2019 salirà di 67 anni. Alle donne verrà concesso uno “sconto” sugli anni di contribuzione di 6 mesi per ogni figlio, con un tetto massimo di due anni. E chi figli non ha potuto o voluto farne proprio per le difficili condizioni di lavoro e sociali in cui si trovava?

Si investono 338 milioni per il taglio del cuneo fiscale a favore di chi assume gli under 35 ma senza porre alcuna sanzione a chi alla fine del triennio licenzia. In dettaglio, vi sono due diverse misure: una per gli under 29 ,che potranno essere assunti con un contratto a tempo indeterminato e il 50 per cento dei contributi per tre anni; mentre per i figli di un dio minore, che hanno tra i 29 e i 35 anni, sarà possibile godere della decontribuzione del 50% per un solo anno e a condizione che si tratti del primo contratto a tempo indeterminato. Ma non basta, nei prossimi anni, l’età di chi potrà beneficiare dello sconto, scenderà ancora.

Al Sud, invece, grazie all’uso dei fondi europei, la decontribuzione sarà del 100% per le assunzioni di giovani tra i 16 e i 24 anni o disoccupati da almeno sei mesi. Sgravi del 50%, per 18 mesi, anche a chi assume a tempo indeterminato (o 12 mesi se a tempo determinato) lavoratori in cassa integrazione.

Si tratta di provvedimenti che, oltre a porre un ingiustificato discrimine in base all'età, ripetono gli errori di un recente passato quando, alla fine del periodo di decontribuzione, sono piovuti i licenziamenti.

Nei giorni scorsi, dal Fmi alla Bce hanno affermato che per consolidare la ripresa occorre aumentare i redditi dei lavoratori dipendenti, ma lo stato italiano, dopo 8 anni di mancato rinnovo dei contratti pubblici, stanzia appena 1,7 mld per i propri dipendenti, pari - sì e no - a 85 euro mensili lorde pro capite a regime, per il triennio 2016-2018: un'elemosina.

Viceversa, il governo è stato generoso con le imprese, destinando 10 mld all'innovazione tecnologica (impresa 4.0). Speriamo non sia la ripetizione del caso della Fiat a fine anni '80, quando lo Stato finanziò la robotizzazione nelle fabbriche, che portò al licenziamento di decine di migliaia di operai.

Per Gentiloni, «il primo obiettivo era quello di evitare aumenti dell’Iva e l’introduzione di nuove tasse, gabelle, accise» e di ricorrere - aggiungiamo - all'ennesimo condono fiscale, che poi non importa se ciò avvenga a discapito delle fasce sociali più disagiate.

Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, forse sognando, in conferenza stampa ha affermato che «il deficit scende così come il debito e la disoccupazione giovanile», grazie alla buona politica economica di questi anni e alle riforme del governo Renzi.

Se con questa legge, i partiti che oggi compongono la maggioranza di governo, sperano di confermarsi anche per la prossima legislatura, vuol dire che vivono su un altro pianeta.

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