Per alcune centinaia di ricercatori precari degli enti pubblici di ricerca che possono finalmente sorridere, diverse migliaia sono più che mai arrabbiati. Ma perché – qualcuno potrebbe chiedere – i precari degli Epr non sono tutti uguali? E no, non lo sono affatto perché, forse non tutti sanno, che a vigilare (il più delle volte, si fa per dire) sull’operato gestionale dei 20 enti pubblici di ricerca - finanziati dallo Stato e, quindi, dai cittadini - non è un solo ministero ma ben sette (salvo miglior conteggio)!
Infatti, se Cnr, Asi, Infn, Ingv, Inaf, Ogs, Stazione zoologica “Anton Dohrn”, Indam, Centro Fermi, Inrim, Science Park, Invalsi e Istituto di Studi Germanici sono soggetti a vigilanza da parte del Miur (Ministero dell’università e ricerca), l’Ispra è controllato dal ministro dell’ambiente; l’Enea da quello dello sviluppo economico; l’Istat dal ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione; il Crea dal ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali; l’Istituto superiore di Sanità, dal ministero della salute e l’Inapp (ex Isfol) dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali.
Una vera babele, dunque, che spesso si manifesta palesemente soprattutto in occasione della discussione in Parlamento della legge di bilancio (ex finanziaria), quando si tratta – pure per gli enti di ricerca – di trovare maggiori risorse, anche per eliminare o, quantomeno, alleggerire, attraverso procedure di stabilizzazione, la grave piaga del precariato che, anno dopo anno, ha raggiunto numeri assai consistenti.
Ebbene, alla fine della partita, come abbiamo detto in apertura di questo articolo, c’è chi (una minoranza) può sorridere e chi, invece, deve continuare a lottare per cercare di ottenere un lavoro stabile, dopo anni e anni di precariato. Ci sono ministri vigilanti che esultano e inneggiano alla vittoria e altri che, dopo aver fatto promesse (non mantenute), scelgono la via del silenzio.
Nel corso dell’ultima partita - della quale il primo tempo si è giocato e concluso il 1° dicembre scorso al Senato, mentre il secondo si concluderà a giorni alla Camera, con l’approvazione definitiva della legge di bilancio per il 2018 - c’è già stato un ministro (nonché vice segretario del Pd), quello delle politiche agricole, alimentari e forestali, Maurizio Martina, cui compete la vigilanza del Crea, che ha inneggiato alla vittoria, con una lettera inviata al presidente dell’ente, con preghiera di “estenderla a tutti i ricercatori e dipendenti” dello stesso Crea.
Martina, infatti, con la missiva, ha rivendicato la decisione del suo dicastero e, quindi del governo, di dare disco verde a un emendamento alla legge di bilancio per la stabilizzazione dei ricercatori precari del Crea, “con coperture (21 milioni di euro, ndr) individuate integralmente con risorse del Ministero delle politiche agricole”.
In conclusione, per il titolare del dicastero di via XX Settembre “Una battaglia vinta. Una battaglia di equità e giustizia. Un punto di partenza non di arrivo”.
Peccato che, come in tutte le vittorie c’è chi, invece, ha perso. E, fino a oggi, ad aver perso sono tanti e tanti ricercatori precari di altri enti pubblici di ricerca, Cnr in testa, ai quali il competente ministro vigilante, invece, non ha inviato alcun messaggio. Neppure per condolersi.
Per dovere di cronaca, infine, dobbiamo riferire di una voce di Palazzo, secondo la quale sarebbe oggi in arrivo in Commissione alla Camera un emendamento alla legge di bilancio, a firma di alcuni deputati di un partito di opposizione, che prevederebbe uno stanziamento di 190 milioni per la stabilizzazione dei circa 4500 precari presenti al Cnr.
Sull'esito che tale amendamento, qualora fosse presentato, potrà avere, non è assolutamente possibile fare previsioni.