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Giovedì, 25 Apr 2024

L’ora più buia di Joe Wright, con Gary Oldman, Kristin Scott Thomas, Lily James, Stephen Dillane, Ronald Pickup, Ben Mendelsohn, Nicholas Jones, Richard Lumsden, Brian Pettifer, Samuel West, David Schofield,, durata 125’, nelle sale dal 18 gennaio 2018, distribuito da Universal Pictures.

Recensione di Luca Marchetti

Maggio 1940. Dopo la sconfitta della Norvegia ad opera dei nazisti, il governo Chamberlain, proprio per la sua politica estera considerata troppo accomodante nei confronti di Hitler, è costretto alle dimissioni. Il partito conservatore, per agevolare la formazione di un gabinetto che coinvolga anche laburisti e liberali, sostiene come nuovo primo ministro Winston Churchill. Ancora segnato dal disastro di Gallipoli (la campagna della prima guerra mondiale progettata da Churchill, allora ministro della Marina, conclusa in una rovinosa sconfitta), il politico dovrà affrontare le opposizioni del proprio partito e i dubbi della Corona e guidare il Regno Unito in una resistenza eroica.

Per il loro lavoro, Joe Wright e i suoi sceneggiatori si rifanno al modello del Lincoln di Steven Spielberg. Come il film presidenziale del regista americano, L’ora più buia, infatti, mal si inserisce dentro i rigidi confini del biopic tradizionale, diventando un vero e proprio film sulla Politica. A differenza delle biografie classiche, così pronte a regalare dettagli sulle infanzie e le vite private dei grandi della Storia, lavori come la pellicola di Wright scelgono una via più efficace e appassionante, affrontando di petto eventi capitali e i loro retroscena. E’ vero che l’attrazione per questo tipo di narrazione nasce dall’overdose di political show (House of Cards, Scandal etc.) che ci regala la serialità televisiva, ma non possiamo non concordare che questo sia il modo migliore (e storicamente più interessante) di raccontare queste storie.

Più che la storia della vita Churchill, L’ora più buia è, dunque, la cronaca politica dei giorni dell’Operazione Dynamo (l’evacuazione dell’esercito inglese dalle spiagge della Francia), il racconto della lotta morale compiuta dal primo ministro per resistere a chi, nel suo governo, voleva trattare con la Germania nazista. Il film di Wright come Lincoln, diventa, così lo sfoggio della bravura di un uomo straordinario che, grazie al suo genio e alla sua oratoria, è riuscito a piegare gli stantii meccanismi del sistema per fare la cosa giusta. Da questo punto di vista, come Daniel Day Lewis per Spielberg, l’interpretazione di Gary Oldman diventa decisiva. Sotto il pesante make-up, nascosto dal fumo degli enormi sigari, l’attore riesce a restituire un’immagine di Winston Churchill che sfugge dal rischio della parodia per diventare un ritratto verosimile del personaggio. Per forza di cose, la prova di Oldman è costretta a impadronirsi di ogni singola scena, diventando un entusiasmante tour de force. A farne le spese è il cast di supporto (specie i magnifici Ben Mendelsohn e Kristin Scott Thomas) ma il loro sacrificio è necessario per sottolineare, ancora di più, l’eccezionalità di Churchill/Oldman.

Storicamente, invece, il discorso si fa più complicato (ma interessante). Per esigenze narrative, bisognava trovare un degno villain da anteporre al super-eroico primo ministro. Se lo spettro invisibile di Hitler è evocato con lugubre ed efficace forza, nel concreto il triste ruolo tocca a Lord Halifax e Neville Chamberlain, membri del gabinetto di Churchill ed esponenti dell’area “pacifista” del partito conservatore. Con una trovata semplicistica, comprensibile ma quanto mai scorretta, i due uomini politici sono mostrati come figuri ambigui e subdoli, facendo leva sul nostro contemporaneo antinazismo. Se è condiviso da molti il duro giudizio sulle responsabilità storiche e morali del governo Chamberlain, ciò non toglie che questi due personaggi, forse, avrebbero meritato un trattamento più empatico e approfondito.

Questi, però, sono gli scrupoli zelanti di uno storico appassionato e vanno considerati come tali. Ragionando in modo più approfondito, è interessante notare come L’ora più buia si leghi a Dunkirk, altra pellicola di successo incentrata sul lato umano dell’Operazione Dynamo. Il rapporto tra questi due film, in un inedito campo-controcampo, oltre all’enorme portata pedagogico-etica su quel momento tragico (attuale oggi come non mai, visto anche il rapporto, ambiguo a dir poco, dell’opinione pubblica e dei media italiani con il neofascismo e la Storia) ha un messaggio preciso da consegnare al proprio pubblico.

In tempi bui, dove il dibattito e le conseguenze della Brexit stanno condizionando i rapporti tra inglesi ed europei, film come questi dimostrano come i nostri destini, al di là della propaganda nazionalista-sovranista e dei rancori xenofobi, siano legati indissolubilmente, soprattutto nei momenti più drammatici.

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Critico cinematografico

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