Viviamo immersi in un mondo di narrazioni, la cui fondatezza è basata esclusivamente sul numero di persone che le condividono, scritte apposta per costruire certezze. Per cui suscita scontento chi dubita, chi offre strapuntini di ragionamento, chi – semplicemente – cerca dimostrazioni.
Una delle storielle più ripetute di recente, nelle quali le borse rifiatano dopo aver corso fino all’inevitabile infarto, è che la crescita dei salari Usa abbia acceso il motore dell’inflazione, che da anni gira a bassa intensità, e ciò potrebbe indurre la Fed a fare più di ciò che sta facendo per alzare i tassi di interesse, con conseguenze potenzialmente distruttive sui mercati finanziari.
Gli osservatori più occhiuti e consapevoli sanno bene quanto fragile sia questa catena di ragionamenti, ma tanto basta ad accendere il dibattito, e così sia: l’inflazione sale per colpa della crescita dei salari, le borse calano per la paura della Fed. Facile e rassicurante. Rimane poca attenzione per chi voglia sapere, oltre a credere.
Giusto due righe per guardare ai dati che mostrano come, nel migliore dei casi, prendendo a esempio il dato sui guadagni orari, l’aumento reale dei salari al novembre 2017 sia stato di circa il 4% rispetto al livello di giugno 2009. Scusate se è poco.
giornalista socioeconomico - Twitter @maitre_a_panZer