C’è un gran girarci intorno al vero obiettivo dei vari profeti anti global, sovranisti, populisti o come meglio suggerisce la vostra fantasia.
Qualcuno parte da lontano, evocando il continuo prosciugarsi della labor share, effetto di una storica ricomposizione dei pesi fra capitale e lavoro.
Altri, ugualmente sofisticati, scomodano stagnazioni secolari e deflazioni dei salari che seguono trend altrettanto epocali determinati dalle orde asiatiche, entrate a pieno giro nella giostra dell’economia globale e invocano, keynesianamente, interventi pubblici, più o meno nazionali, monetari o fiscali.
I meno scafati se la prendono col libero commercio, che uccide il negozio del vicino e l’industria nazionale, e spacciano il protezionismo come la panacea di tutti i mali di oggi infischiandosene di quelli di domani.
Ci sono, poi, gli amanti delle semplificazioni, che riducono tutto al reddito e allora perché non darne uno a ognuno e risolvere d’incanto i nostri problemi?
Tutti costoro indicano la direzione ma si guardano bene dal puntare il dito, forse per un residuo senso del pudore, o forse perché notare che le uniche ad averci guadagnato dalla globalizzazione, e specialmente a partire dalla crisi, sono state le multinazionali, darebbe ai loro discorsi un sapore troppo retro’ persino in un tempo denso di nostalgie come il nostro.
Gli anti global, sovranisti, populisti o come si chiamano, lo sappiano o no, ce l’hanno a morte con le multinazionali, che vivono e prosperano nella globalizzazione. Non vogliono che le imprese siano libere di fare affari dove e come meglio loro convenga e sognano uno stato che le metta in riga e provveda a loro come a ogni cosa, a partire da ognuno di noi.
Questo è il vero obiettivo. Tutto il resto è noia.
giornalista socioeconomico - Twitter @maitre_a_panZer