Il presidente del Cnr, se professore o ricercatore universitario, prima di assumere l’incarico, continuerà ad essere collocato d’ufficio in aspettativa, ai sensi dell’art. 13 del Dpr 382/1980, contrariamente a quanto suggerito all’ente di piazzale Aldo Moro dal Ministero dell’istruzione, università e ricerca (Miur) e dal Ministero dell’economia e delle finanze (Mef), secondo i quali nello Statuto quello che è un obbligo poteva diventare una facoltà.
La vicenda era stata anticipata la scorsa settimana dal nostro giornale, alla vigilia della riunione del consiglio di amministrazone (cda) dell’ente presieduto dal professor Inguscio.
Il massimo consesso del Cnr, infatti, riunitosi venerdì 11 maggio, con la delibera n. 79/2018, ha apportato ulteriori modifiche allo Statuto ancora oggi in vigore, già cambiato, in attuazione di quanto previsto dall’art. 19 del Decreto legislativo n. 218/2016, con delibera n. 62/2017 del 9 maggio 2017, e, successivamente, con delibera n. 173/2017 del 19 dicembre 2017, a seguito di rilievi mossi da Miur e Mef.
Per l’effetto, il nuovo testo licenziato dal cda torna ora all’esame del Ministero di vigilanza (Miur) e del Mef, con l’auspicio di ottenere disco verde.
Sull’annosa questione riguardante il presidente e segnatamente “aspettativa sì, aspettativa no”, non possiamo non stupirci del fatto che, ancora una volta, il cda del Cnr ha perso l’occasione per inserire nel proprio Statuto il richiamo alla legge n. 118/1989, contenente norme interpretative ed integrative delle disposizioni di cui agli articoli 11 e 12 del Dpr 382/1980.
L’articolo 2, comma 2, della legge 18 marzo 1989, n. 118, che testualmente recita: "Ai professori con regime d’impegno a tempo definito, autorizzati alla presidenza … non collocati in aspettativa oppure collocati in aspettativa con assegni, è corrisposta a cura dell’ente … una speciale indennità … pari alla differenza tra la retribuzione in godimento e quella dovuta allo stesso docente se operante in regime di impegno a tempo pieno”.
Tale norma, volta a consentire al presidente di turno, professore o ricercatore universitario, di non abbandonare del tutto l’attività accademica per uno o per due quadrienni, assicurerebbe, al contempo, un risparmio all’ente che dovrebbe corrispondere allo stesso presidente non più l’intera retribuzione prevista (che per il Cnr e di circa 160 mila euro annui) ma solo una speciale indennità pari alla differenza tra la stessa e quella dovuta allo stesso docente-presidente se operante all’Università in regime di impegno a tempo pieno.
Come abbiamo precisato nell’articolo della scorsa settimana, poiché, in caso di “tempo definito”, la retribuzione del professore universitario è di circa il 60% rispetto al “tempo pieno”, ne conseguirebbe che tanto il Cnr quanto altri enti di ricerca - eventualmente presieduti da professori universitari non in aspettativa ma a “tempo definito” - si farebbero carico solo del restante 40% (in media, 50/60 mila euro l’anno).