La Stanza delle Meraviglie di Todd Haynes, con Oakes Fegley, Millicent Simmonds, Michelle Williams, Julianne Moore, Jaden Michael, Cory Michael Smith, Tom Noonan, Amy Hargreaves, James Urbaniak, durata 117’, nelle sale dal 14 giugno, distribuito da 01 Distribution.
Recensione di Luca Marchetti
Todd Haynes è un autore che, nel corso della sua interessante carriera (iniziata nel 1991 con Poison), ha saputo abbinare un gusto estetico ricercato e abbagliante a storie perfette, dove la grande carica emotiva è ben bilanciata dalle ambizioni mainstream.
I suoi film sono tutti racconti sentimentali dove protagonisti fragili sono sempre in cerca di qualcosa: un amore, un’identità, una famiglia. Dopo il successo di Carol, il period drama con le splendide Cate Blanchett e Rooney Mara che, nella New York degli anni cinquanta, si innamoravano perdutamente, Haynes sceglie di portare le sue tematiche all’interno di una storia apparentemente per bambini, adattando per il grande schermo il romanzo grafico (un’interessante fusione tra narrativa e graphic novel) Wonderstruck di Brian Selzinck, già autore dello Hugo Cabret di Martin Scorsese.
Come per il film del cineasta italo-americano, La Stanza delle Meraviglie è una storia completamente incentrata su bambini presi in avventure che li vede nella doppia veste di fanciulli sull’orlo dell’adolescenza e di giovani eroi in viaggio. Il protagonista Ben, come Hugo Cabret, è un piccolo “viandante” segnato dalla tragedia ma ferocemente ancorato alla sua ricerca della felicità.
Come la sua opera precedente, la storia ideata da Selznick è pervasa dalla sua cinefilìa estrema, dal suo amore per il cinema pioneristico. Guardando ad una strada più intimista che appariscente (il 3D esagerato e gli effetti speciali del film di Scorsese), Haynes segue questa traccia classica, espandendo la possibilità di un semplice omaggio a parte fondamentale del suo film.
La storia di Ben, bambino degli anni Settanta, è, dunque, alternata a quella di un’altra bambina, anch’essa arrivata nella New York degli anni 20 in cerca di qualcosa. Sfruttando l’handicap che unisce i due ragazzi (una, sordomuta dalla nascita, l’altro diventato sordo dopo un surreale incidente), La Stanza delle Meraviglie nasconde dentro di sé una ricostruzione filologica del cinema muto e in bianco e nero degli albori della cinematografia.
Haynes, infatti - come hanno già fatto, spesso con grandi fortune, alcuni suoi colleghi (gli Oscar del francese The Artist) - alterna il suo movimentato film anni ’70 ad una laccatissima e onirica pellicola muta, che ricostruisce alla perfezione i tempi e i modi dei suoi modelli artistici.
Oltre che un regista intelligente, Haynes è un artista sensibile ed ogni dettaglio dei suoi lavori ce lo conferma. Anche ne La Stanza delle Meraviglie, il pathos sincero della vicenda e l’empatia che l’autore crea con i suoi personaggi sono un collante che lega saldamente il pubblico all’opera.
Purtroppo, l’intuizione (naturale?) di ricorrere alla fedeltà “semantica” della ricostruzione cinefila, come capitato in altri film (primi tra tutti, i già citati The Artist e Hugo Cabret) pur dimostrandoci la passione del regista per la Storia del Cinema, diventa esercizio autoreferenziale, intellettualmente sterile e narrativamente inutile. Anzi, la grande prova di Millicent Simmonds, la protagonista della storyline nel passato, è vanificata da una confezione che arriva quasi immediatamente a distrarci.
Abituato a regalare al pubblico un rigore formale e una cura estetica travolgenti, questa volta Heynes si perde dietro giochi e facili espedienti che, pur non intaccando il cuore emotivo della storia, alla fine non fanno altro che appesantire il film, non permettendogli di essere libero.
Critico cinematografico