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Venerdì, 29 Mar 2024

Pelonga di Angelo Boezi e Giulio Rossi, Editore Tofani, Alatri, 2017, pp.78, euro 15.

Recensione di Roberto Tomei

Solo mucchi di sassi o cos’altro? Proprio le cose che ci stanno davanti agli occhi sono quelle che spesso non riusciamo a vedere. Così è avvenuto anche per Pelonga, che è sempre stata lì dov’è, ma nessuno era stato capace di vederla. Per mancanza, naturalmente, di quelli che Miguel de Cervantes chiamava “ojos de entendemiento”, che invece hanno avuto gli autori del libro che qui si presenta, i quali, animati da un amor loci incontenibile e dopo un anno e mezzo di passeggiate nell’area di Monte Capraro e di Monte Lungo nel Comune di Alatri (provincia di Frosinone), si sono convinti che i tanti mucchi di sassi presenti nella zona non sono appunto semplici mucchi di sassi ma vere e proprie emergenze archeologiche (sepolture preistoriche o protostoriche), finora spiegate, ma meglio sarebbe dire bollate, come macerie recenti, mucchi di sassi per lavori di sgombero di terreni, rimesse agricole, ovili, abitazioni di pastori et similia.

Nella zona esiste, infatti, “un denso sistema di manufatti in pietrame a secco invece assenti altrove pure in costanza di attività umane e di coltivazioni … centinaia di accumuli di pietrame ordinato di dimensioni varie e, talora, notevolissime tanto da poter essere definiti monumentali … strutture realizzate con particolare cura negli incastri e nella levigatura delle superfici esterne”. Strutture peraltro di diverse tipologie: con perimetro ellissoidale, a barca rovesciata con la” prora” verso valle e circolari. Tutti i cumuli hanno caratteristiche strutturali comuni e costanti e sono per di più perfettamente drenanti, con lo scopo, evidente, di proteggere il loro contenuto. Tutte opere con le quali i contadini non hanno niente a che fare, semplicemente perché non hanno nessun interesse a costruirle. I contadini i sassi li scansano ai margini del campo ovvero se ne servono per tirarli contro qualcuno. Del resto, sono gli stessi contadini che lavorano quei terreni a non riferire quei muri ad attività colturali: né all’olivicoltura attuale né alla cerealicoltura del passato recente. Essi dicono che quei sassi ci sono sempre stati e che nessuno sa quando e perché sono stati realizzati.

Nell’ipotesi degli autori, i cumuli sarebbero stati edificati al di sopra di una camera sepolcrale interrata. Quelli monumentali celerebbero una camera ulteriore, fuori terra. Ma nell’area ci sono anche centinaia di cumuli minori, nonché chilometri di muri a secco e a sacco, di spessore e altezza variabili, che non coincidono sempre con i confini delle proprietà agricole, dato che in molti casi attraversano i lotti di terreno. Occasionalmente, qua e là, si notano ”pietre certamente rizzate per via di grossi scheggioni infissi nel terreno alla base come cunei o puntelli”, che fanno pensare a una sorta di menhir. Uno scenario confermato anche da Tito Livio, come si legge nel IX libro ab urbe condita: “c’erano inoltre pietre, sia disseminate a caso, come capita nei luoghi difficili da percorrere, sia anche accumulate dagli abitanti con operosa accortezza in modo che la posizione fosse meglio munita”

Anziché cumuli, si tratterebbe, insomma, di tumuli, da inquadrare in un orizzonte, o contesto che dir si voglia, che richiama la cultura dei castellieri, come descritta in altre aree del nostro paese, dal Lazio stesso all’Appennino umbro-marchigiano, alle aree veneto-friulana, istriana e ligure.

Gli autori, con encomiabile modestia e a scanso di equivoci, ci tengono a precisare di non aver fatto nessuna scoperta, ma solo di aver “ridisegnato un orizzonte epistemologico. Reinterpretato un sistema di segni. Avviato un processo di cognizione che si è esercitato su oggetti di realtà ben palesi e visibili a chiunque”. Sta di fatto che, come detto in apertura, questi ”oggetti di realtà” nessuno li aveva visti finora.

Alatri è famosa in tutto il mondo per ”Civita”, ossia le sue mura ciclopiche, quelle che hanno lasciato di stucco persino Gregorovius, che ne restò impressionato – sono parole sue – più che dalla vista del Colosseo, ma, con uno scavo adeguato, portare ad emersione anche Pelonga e dintorni potrebbe riservare non poche sorprese. Si parva licet componere magnis.

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