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Martedì, 19 Mar 2024

Prima dell’alba di Paolo Malaguti, editore Neri Pozza, Vicenza, 2017, pp.304, euro 17.

Recensione di Roberto Tomei

Il libro è uno ma ne contiene due: un giallo con atmosfere noir e un romanzo storico, scritti con stili narrativi diversi che si intersecano, così come si intersecano i destini dei protagonisti, cioè l’ispettore Malossi e il Vecio reduce di guerra. Molto efficace l’incipit della storia: “Quando l’ispettore Ottavio Malossi, 32 anni sposato da cinque, in servizio presso la Polizia di Stato della Questura centrale di Firenze, viene incaricato dell’indagine sullo morte di uno sconosciuto, il cui corpo è stato trovato lungo i binari del tratto Prato- Firenze, non sa quale rogna gli è stata calata tra capo e collo”.

In effetti, il morto non era proprio quel che si poteva definire uno sconosciuto. Anzi. Si trattava, infatti, nientemeno che di Andrea Graziani (da non confondere con Rodolfo Graziani, ministro della guerra a Salò), nato a Bardolino nel 1864 e morto appunto nel 1931, all’altezza di Calenzano, vicino a Firenze, severo generale della grande guerra, nominato dal fascismo Luogotenente Generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (dunque, un gerarca di grande rilievo nell’organico del Partito nazionale fascista), una sorte, in definitiva, che condivise con Luigi Cadorna, anch’egli divenuto Maresciallo d’Italia per volontà di Benito Mussolini.

Il giudice incaricato dell’indagine, che chiuse in un solo giorno, non dubitò nemmeno per un istante che si potesse trattare di un omicidio, ma optò subito per la tesi del suicidio, mettendo tutto a tacere, secondo i desiderata del regime. L’autore, viceversa, lascia intendere che la morte del generale fosse da collegare con il suo comportamento al fronte. Una vendetta per le sue malefatte, compiuta non diremo da chi, per non togliere al lettore il piacere di scoprirlo da solo. Del resto, questa ipotesi è meno peregrina di quanto si possa credere, se già poco tempo dopo la morte di Graziani nel Dizionario biografico degli italiani si sollevarono non pochi dubbi in proposito, risultando assai difficile ammettere che un vecchio così carico di onori potesse spiccare un salto atletico da un treno in corsa per chiudere ingloriosamente la sua esistenza.

Fin qui il giallo, che serve a dischiudere le porte al romanzo, incentrato sulla figura di Graziani, una pagina di storia che vale come metafora della follia della guerra. Molto vicino a Cadorna, Graziani, dopo essersi guadagnato i gradi di generale nella battaglia del Pasubio, aveva ricevuto dal primo l’incarico di coordinare il “movimento di sgombero”, ossia (fuor dal burocratese) la ritirata, di Caporetto, dopo che gli austriaci avevano letteralmente dilagato sino al Piave, minacciando l’intera pianura padana.

Ebbene, in questa tragica circostanza, nella quale ciascuno può immaginare lo stato di prostrazione delle truppe, Graziani confermò la sua fama di militare spietato, avendo ordinato la documentata fucilazione alle spalle di almeno trenta italiani. Non tutti disertori. Una cifra, peraltro, alla quale occorre aggiungere molte altre vittime “non registrate”, sol che si pensi che i condannati a morte della Grande Guerra furono un migliaio. Per consuetudine, infatti, gli ufficiali solevano attribuire la causa di morte a malattia o alle pallottole nemiche, sia per non dispiacere alle famiglie sia per evitare eventuali ricorsi.

Anche se non venne in alcun modo perseguito, Graziani fu comunque denunciato, come riportato dall’Avanti!, dalla madre di Alessandro Ruffini, il soldato a cui il libro è dedicato, fucilato a Noventa il 3 ottobre del 1917 perché al passaggio di un generale si era messo sull’attenti senza togliersi il sigaro dalla bocca.

Ma la figura di Graziani ha continuato ad essere, se così si può dire, controversa anche in anni recenti, quando, nel comune di Valgatara, in provincia di Verona, si decise di esporre un suo busto accanto al monumento ai caduti, dato che ignoti dissidenti provvidero immediatamente a gettarlo in fondo a un laghetto, da cui fu recuperata solo mesi dopo.

Da notare che in questa parte del libro la tensione crescente del giallo lascia il posto a una prosa più asciutta, costituita soprattutto dal linguaggio dei fanti in trincea, quasi tutti contadini che non parlavano l’italiano e non fervevano d’ardore per la patria.

Molto toccanti risultano, in particolare, le pagine dedicate alle famiglie, di fatto interi paesi, sfollate a seguito dell’avanzata del nemico e costrette a trasferirsi lontano, in Calabria o addirittura in Sicilia.

Il libro ci lascia con un dilemma che continua assurdamente a restare insoluto: “Perché la guerra, nonostante gli orrori che causa, continua a essere una costante nella storia dell’Uomo?”.

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