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Sabato, 20 Apr 2024

Due giorni fa, Gianni Cuperlo, in un’intervista al Riformista, curata da Umberto De Giovannangeli, ha espresso il suo orientamento per il No al referendum confermativo della riforma costituzionale riguardante la riduzione del numero dei parlamentari: 375 in meno fra Camera (-230) e Senato (-115).

I patti di maggioranza, dice Cuperlo, sulla base dei quali il Pd votò in quarta lettura il taglio, dopo tre voti contrari, non sono stati onorati. Cuperlo li elenca con precisione: “Altre due riforme costituzionali, sull'abbassamento dell'età per l'elettorato attivo e passivo al Senato, la revisione della base regionale per l'elezione dello stesso, la riduzione del numero di delegati regionali nella platea dei grandi elettori per il Quirinale, una modifica dei regolamenti parlamentari e una legge elettorale finalizzata a non privare i territori più piccoli di una propria rappresentanza e ad avvicinare i cittadini agli eletti”.

Oggi, Zingaretti, intervistato sul Corriere della sera da Maria Teresa Meli, ripropone almeno “modifiche circa i regolamenti parlamentari e una nuova legge elettorale, per scongiurare rischi di distorsioni nella rappresentanza e tutelare adeguatamente i territori, il pluralismo e le minoranze”. Altri esponenti, come il Presidente dell’Emilia Bonaccini, hanno già detto che voteranno Sì.

Il Pd, come al solito, è diviso, e il segretario chiede, disperato, al M5s di dargli un appiglio per il Sì, onde non rimanere con il cerino acceso in mano che, teme, sarà spento dall’onda dell’antipolitica referendaria.

A parte tutto ciò, quel che colpisce nella lunga intervista di Cuperlo è un certo mescolare causa ed effetti di quella che lui definisce “antipolitica”. “Si potrebbe dire – afferma - che raccogliamo quanto seminato nel corso di un paio di decenni a partire dalla denigrazione dei partiti, campagna condotta con una perseveranza ossessiva senza rendersi conto che in quella frenesia si annidavano guasti drammatici, il contrarsi della partecipazione e una selezione della classe politica disancorata da criteri di merito, competenza, moralità”. Cioè, è la campagna ossessiva che ha generato i “guasti drammatici” o, invece, il contrario?

Poi, prosegue nel ricordare, a ragione, i dati tragici del calo della partecipazione al voto come segno principale del declino democratico. “Avere rimosso il consenso agli istituti della partecipazione, il voto in primis, e la liquefazione delle culture politiche ci ha spinti dove siamo. Questo non vuol dire che non si dovessero colpire duramente comportamenti osceni, forme di corruzione, costi esorbitanti, invocando una vera rifondazione delle forze politiche e delle istituzioni, ma era cosa diversa dall'invocare la cancellazione dei partiti, di ogni regola sulla loro trasparenza, di qualunque forma di finanziamento pubblico”.

E la “liquefazione delle culture politiche”, ossia dei partiti e il trasformismo dilagante che ne è seguito, come e perché è avvenuto anche a sinistra? E perché non si sono colpiti “duramente comportamenti osceni, forme di corruzione, costi esorbitanti”? E perché il Pd non li colpisce nemmeno adesso? E perché Zingaretti, nonostante reboanti promesse e annunci, non imbocca la strada di “una vera rifondazione delle forze politiche (cioè del Pd per quel che gli compete, ndr) e delle istituzioni”? L’antipolitica lamentata da Cuperlo, inoltre, non è stata solo grillina, ma anche renziana, se non rammentiamo male, quando il “taglio delle poltrone” al Senato divenne la parola d’ordine fondamentale per il Sì alla sgangherata riforma costituzionale dello statista di Rignano. Anche Gianni, alla fine, disse sì, come la monaca di Monza alle profferte di Egidio.

Gianni Cuperlo è persona intellettualmente apprezzabile, il suo Dna mitteleuropeo è senz’altro gradevole, la sua cultura politica è solidamente democratica, le sue intenzioni le migliori del mondo. Ma indugia alla descrizione, come se lui fosse stato un osservatore esterno degli accadimenti. Un difetto comune a tanti altri dirigenti dell’ex Pci che esaminano il passato prossimo quasi che loro non fossero stati della partita.

Come i filosofi di cui diceva Marx, spiegano più o meno bene il mondo che fu e quello che è, quasi sempre, però, dopo che le cose sono avvenute. Dicono anche che ne vorrebbero uno migliore, che ne vorrebbero una trasformazione, ma non intendono appieno che la necessità di trasformarlo è legata a una forte azione politica e non solo alla descrizione della situazione data. Anzi, alcuni di costoro, provenienti dal Pci, a questo cambiamento ci hanno proprio rinunciato.

Ma questo non è assolutamente il caso del buon Cuperlo.

Aldo Pirone
Coautore del libro "Roma '43-44. L'alba della Resistenza"
facebook.com/aldo.pirone.7

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