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Giovedì, 18 Apr 2024

È passato un secolo, ma in Garfagnana, estesa area geografica di notevole rilevanza paesaggistica, a nord di Lucca, tra le Alpi Apuane e la catena dell’Appennino Tosco-Emiliano, è sempre vivo il ricordo del tragico evento sismico che alle 5:56 del 7 settembre 1920, con una scossa di magnitudo 6,5 della durata di circa 20’’, sconvolse la vita di tantissime persone, causando 171 morti, 650 feriti e migliaia di senzatetto.

Come si rileva dai commenti storico-critici del Catalogo dei forti terremoti avvenuti in Italia tra il 461 a.C. e il 1997 e quelli dell’area mediterranea, tra il 760 a.C. e il 1500 – una portentosa banca-dati, che è alla base dei modelli di pericolosità sismica, fortemente voluta dal professor Enzo Boschi, geofisico, sismologo di fama mondiale, prematuramente scomparso il 21 dicembre 2018, per anni alla guida dell’Ingv di cui, a pieno titolo, viene considerato il padre – “il numero relativamente basso delle vittime dipese principalmente da due fattori. Innanzitutto, il terremoto fu preceduto il giorno prima da una scossa avvertita da tutti, a seguito della quale molti pernottarono all’aperto. In secondo luogo, poiché l’economia era basata prevalentemente sull’agricoltura e l’allevamento, quando avvenne la scossa principale nelle case si trovavano soltanto poche donne e bambini”.

Sempre la stessa banca-dati testimonia che “il terremoto causò effetti distruttivi in un’area di circa 160 kmq estesa dalla Lunigiana alla Garfagnana. I villaggi di Capraia, Montecurto, Vigneta e Villa Collemandina furono distrutti quasi completamente. In particolare, a Villa Collemandina il terremoto, oltre a distruggere pressoché totalmente l’abitato, causò il crollo del palazzo comunale, della chiesa parrocchiale e del suo campanile.
Una settantina di paesi (fra cui Fivizzano e Piazza al Serchio) subirono crolli estesi a gran parte del patrimonio edilizio. In altri 160 paesi, ci furono numerosi crolli e gravi danni estesi a gran parte del patrimonio edilizio e un centinaio di altre località subirono danni di media entità”.

Secondo le perizie eseguite dal Genio Civile, a causare i rilevanti danni furono il cattivo stato di conservazione delle strutture, dovuto soprattutto alla pessima qualità delle malte impiegate nelle murature. Quasi tutti gli edifici, con l’esclusione delle costruzioni più importanti, erano stati edificati con materiali poveri e con tecniche elementari; le abitazioni, avevano un massimo di due piani, ma i muri erano costruiti con pietre irregolari, cementate con calce aerea a forte percentuale di legante sabbioso; le lesioni più comuni riportate dagli edifici risultarono il distacco quasi completo dei muri, la fessurazione delle pareti, la rottura degli architravi, lo strapiombo delle murature, il crollo e il dissesto delle coperture, dei solai e delle scale.

L’area dei danni interessò anche la Riviera ligure di levante, la Versilia, le zone montane del Parmense, del Modenese, del Pistoiese e la provincia di Pisa. L’area di risentimento si estese dalla Costa Azzurra al Friuli e, a sud, a tutta la Toscana, all’Umbria e alle Marche settentrionali.

Alla scossa principale seguirono moltissime repliche, tra le quali una, avvenuta il 7 settembre alle ore 9.12 locali, fu avvertita a Pievepelago e nelle province di Genova, di Lucca, di Parma e di Reggio nell’Emilia. Le repliche si protrassero con frequenza decrescente per molti mesi, fino all’agosto del 1921.

In un numero molto elevato di località, le acque si intorbidarono, variandone la portata; vi furono tantissime frane e cadute di massi; in particolare, la frana avvenuta alle cave di Carrara causò la morte di alcuni operai.

Da quel tragico evento sono passati cento anni e molti altri sono stati i terremoti che hanno colpito il nostro Paese, ma la causa di tanti morti, di tanti crolli, di tanta distruzione, di tanta sofferenza è stata sempre la stessa: la fragilità delle costruzioni. Fragilità ignorata da tanti, ma di cui era ben conscio il professor Boschi che, nel corso della sua lunga collaborazione con il nostro giornale, non perdeva occasione per ricordare con i suoi editoriali ai nostri lettori e, soprattutto, alla politica, che “Ci si può difendere dai terremoti costruendo o rinforzando adeguatamente gli edifici in cui viviamo e lavoriamo. Ma questa soluzione da noi non è stata mai perseguita: unico Paese sviluppato dove si può morire anche per terremoti di magnitudo 6!”.

Per gli italiani, il possesso della propria abitazione è una priorità, tanto che, dagli ultimi dati resi noti nel 2019 dall’Agenzia delle entrate (riferiti al 2016, ma la foto è ancora attuale) risulta che, su 34.871.821 di unità residenziali censite, ben 32.192.053 (di cui 19,5 milioni sono prime case) risultano possedute da persone fisiche, per un valore di 5.526 miliardi.

A quanto pare, però, ci si accontenta di avere un tetto, e pure più di uno, magari si cura l’aspetto interno dell’abitazione, ma non ci si cura affatto della sicurezza offerta dalla sua struttura, non ci si cura né di verificare se la casa ha i requisiti di costruzione necessari in zone ad alta o media pericolosità sismica, come sono oltre i ¾ della penisola, il che sta a spiegare perché ad ogni terremoto, anche di magnitudo non eccessiva, vi siano danni così ingenti e numerose vittime.

I governi succedutisi negli ultimi anni hanno erogato diversi “sisma-bonus” - tutti riservati ai possessori di immobili ubicati nelle zone 1,2 e 3 della Mappa di pericolosità sismica e con un una soglia di detrazione crescente - ma, a quanto pare, non hanno destato, o non hanno saputo destare una sufficiente attenzione da parte degli italiani. Forse, il “sisma-bonus” previsto dal Decreto Rilancio, convertito nella Legge n.77 del 17 luglio scorso - che pure ha una tempistica e meccanismi di erogazione piuttosto complessi - con una detrazione al 110%, potrà avere miglior sorte. Staremo a vedere.

Sicuramente restano al palo i tanti giovani ingegneri specializzati in ingegneria sismica, visto che, nel settore ben pochi trovano un’occupazione in cui poter applicare le conoscenze acquisite. D'altronde, se non interessa agli acquirenti comprare un’abitazione costruita secondo la normativa antisismica, tanto meno sono interessati i costruttori a realizzare edifici dal costo più elevato.

Insomma, poco è cambiato dal 1920 ad oggi, in caso di terremoto, anche di non eccessiva magnitudo, le case cadevano allora e cadono oggi, si moriva allora e si muore oggi.

Eppure, di cose ne sono cambiate tante e in meglio: gli italiani sono più istruiti, il tenore di vita è migliorato, le conoscenze tecniche per costruire meglio o per intervenire sul costruito sono cresciute notevolmente, si dispone di una Mappa di pericolosità sismica recepita dal nostro ordinamento, apprezzata a livello internazionale, che qualcuno, forse solo per essere ricordato dai posteri, vorrebbe cestinare.

Quel che manca ora, come allora, sono controlli efficienti sul costruito e sul costruendo. In Emilia-Romagna, ad esempio, v’erano numerosi organismi di controllo previsti dalla normativa regionale ma v’è da chiedersi dov’erano quando vennero realizzati quegli immensi capannoni che poi, alla minima scossa, crollarono.

Dal VII Rapporto su consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici, realizzato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) apprendiamo che ogni giorno in Italia vengono consumati ulteriori 16 nuovi ettari di suolo, il 7% dei quali è ubicato in aree ad alta pericolosità e il 4,6% nelle aree con una pericolosità sismica molto alta, in altre parole nelle zone 1,2 e 3. In testa, Lombardia, Veneto e Campania con i valori più elevati di suolo consumato in aree a pericolosità sismica alta (rispettivamente con il 13,3%, 12,2% e 10,4%), mentre Campania, Sicilia e Calabria hanno le percentuali di suolo consumato più elevate nelle aree a pericolosità sismica molto alta (rispettivamente con 6,9% e 5,8%).

Un incremento confermato dagli ultimi dati Istat, pubblicati lo scorso 15 luglio, dai quali risulta che nel IV trimestre 2019 il numero di abitazioni è cresciuto del 8,1% in un anno.

A tale crescita quantitativa è corrisposto un miglioramento qualitativo? No, si continua a distruggere una risorsa preziosa come il suolo con costruzioni collocate nei posti sbagliati e senza sufficienti controlli sul rispetto della normativa vigente in materia di costruzioni antisismiche.

Forse sarebbe ora che il Governo si facesse carico di una capillare opera di sensibilizzazione tra la popolazione sulla assoluta necessità di rendere il costruito e il costruendo a prova di terremoto, incentivando i necessari interventi di consolidamento antisismico, con procedure chiare e con una tempistica praticabile.

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