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Giovedì, 18 Apr 2024

I risultati di una ricerca internazionale, alla quale ha partecipato la Cardiologia Universitaria di Pisa, hanno chiarito l’efficacia dei farmaci allopurinolo e febuxostat per controllare i livelli di acido urico nel sangue, responsabile – oltre che di patologie come la gotta - anche di un aumentato rischio cardiovascolare, in particolare di infarto del miocardio e ictus.

Lo studio si chiama FAST, appena pubblicato sulla prestigiosa rivista medica The Lancet, è stato coordinato da una commissione di cui fa parte il professor Raffaele De Caterina, ordinario di Cardiologia dell’Università di Pisa e direttore dell’Unità Operativa di Cardiologia 1.

“Il trattamento e la prevenzione delle manifestazioni cliniche legate all’acido urico è oggi affidato sostanzialmente a due farmaci, allopurinolo e febuxostat, quest’ultimo più efficace nel ridurne i livelli ematici – spiega il professor Raffaele De Caterina, coautore dello studio – L’uso di questo farmaco era stato però limitato dal sospetto di un aumento degli eventi cardiovascolari emerso in uno studio americano, CARES.

La ricerca FAST ha invece dissipato dubbi sulla sicurezza cardiovascolare comparativa dei due farmaci, dimostrandone l’equivalenza in termini di morte cardiovascolare, ospedalizzazione per infarto e ictus cerebrovascolare”.

La ricerca ha coinvolto oltre 6000 pazienti seguiti per 7 anni e ha concluso per una sostanziale equivalenza di allopurinolo e febuxostat. In aggiunta – e dato non trascurabile – ci sono state meno morti per tutte le cause nel gruppo febuxostat rispetto al gruppo allopurinolo (222 contro 263), dissipando definitivamente i dubbi sulla sicurezza cardiovascolare del farmaco più efficace e innovativo attualmente già disponibile.

“L’avere a disposizione l’arma del febuxostat nel ridurre i livelli di acido urico in pazienti con indicazioni al trattamento, e in particolare in quelli con manifestazioni articolari già evidenti, è un significativo passo avanti nella farmacologia clinica cardiovascolare e reumatologica”, conclude il professor Raffaele De Caterina.

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