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Martedì, 19 Mar 2024

Gli anni del coltello, di Valerio Evangelisti – Mondadori Libri, luglio 2021 – pp. 243, euro 20.

Recensione di Adriana Spera

Valerio Evangelisti, poliedrico scrittore, arcinoto autore della saga (ben 14 volumi) sull’inquisitore Nicolas Eymerich – personaggio realmente esistito e passato alla storia per la sua crudeltà cui si sono ispirati diversi autori, tra gli altri, lo scrittore spagnolo Ildefonso Falcones nel suo bellissimo romanzo La cattedrale del Mare – e di una trilogia su Nostradamus in cui fonde più generi: storia, fantascienza, fantasy e horror.

Il nostro autore non disdegna neppure il genere letterario definito da Roberto Bui (più noto come Wu Ming 1) il New Italian Epic, ovvero il metaromanzo storico, attraverso il quale raccontare accadimenti del passato per parlare dell’Italia di oggi e, talvolta, anche di altri paesi come gli Usa o il Messico. Evangelisti, attento pure alle vicende dei movimenti sindacali, ha dedicato una trilogia a quello nord americano.

Negli ultimi anni si è dedicato alla storia d’Italia: prima con il ciclo Il sole dell'avvenire ha narrato le vicende di alcune famiglie di braccianti e contadini romagnoli, dall'epoca post-risorgimentale alla fino degli anni ’50 del secolo scorso. Successivamente, si è occupato della storia risorgimentale con una trilogia apertasi con 1849. I guerrieri della libertà, che ora continua con Gli anni del coltello, libri – con personaggi realmente esistiti – scritti dopo un’accurata ricerca storica, confermata da una ricca bibliografia in calce.

Dalla lettura di questo romanzo si ricava un’immagine del movimento mazziniano molto diversa da quella narrataci nei libri di storia scolastici.

Se in quelli potevamo farci un’idea dell’eroe repubblicano risorgimentale come di una sorta di personaggio mitico, intellettuale ascetico, pronto a dare la vita per un ideale, ad affrontare la morte a testa alta, qui, invece, incontriamo quegli eroi, per così dire, “minori” che parteciparono alle lotte per l’unificazione dell’Italia.

Scopriamo che a lottare c’era anche un esercito di bottegai, artigiani e operai, scopriamo un popolo di persone poverissime che vedeva nell’invasore straniero la causa delle proprie misere condizioni di vita e che, giustamente, non credeva affatto che i Savoia fossero i salvatori della patria ma, invece, scorgeva in essi una dinastia pronta ad allargare i propri domini, piuttosto che a migliorare l’esistenza degli italiani.

I repubblicani pensavano di costruire un’Italia federale, un paese più equo in cui venissero redistribuite le terre, abolito il latifondo, in cui per tutti vi fossero migliori condizioni di vita grazie ad un sistema mutualistico diffuso.

Come sappiamo, così non fu. L’Italia unita voluta dai piemontesi fu quella del grande capitale, del primato del nord sul sud, la vittoria dell’alta borghesia del nord sul resto del paese, grazie anche al sostegno dei capitali della borghesia e della nobiltà meridionali.

Un destino che apparve subito ben chiaro a proletari e sottoproletari ferventi mazziniani che aderirono con entusiasmo all’appello del Maestro – così chiamavano Giuseppe Mazzini – di dar vita a una “guerra a coltello”, appello che essi interpretarono alla lettera, uccidendo quanti si distinguevano quali delatori e torturatori al servizio degli occupanti. Appello che gli esponenti del movimento appartenenti alle classi più agiate rinnegarono, ponendo in secondo piano gli obiettivi repubblicani per privilegiare quello di un’Italia unita, affascinati dalla sirena Camillo Benso di Cavour.

Il racconto inizia a Roma, il 2 luglio 1849, è appena caduta la Repubblica romana e i soldati del Papa, aiutati dai francesi dopo aver cannoneggiato i quartieri degli insorti, danno il via a una spietata caccia all’uomo.

Tra quanti avevano combattuto fino all’ultimo minuto a difesa della Repubblica contro l’assedio delle truppe francesi, accorse in soccorso del Papa, v’è Giovanni Marioni, detto “Gabariol”, proveniente da Faenza, un personaggio un po’ borderline, un grande idealista disposto anche a rubare pur di proseguire la sua vita di guerriero errante.

Il nostro “eroe minore” riesce a fuggire da Roma per iniziare una peregrinazione da un luogo all’altro dove il Maestro preannuncia una rivolta. Agli annunci seguiranno una serie di insuccessi clamorosi dovuti anche alle divisioni interne, oltre che alla disorganizzazione, del movimento mazziniano sempre più decimato da arresti, torture e processi sommari, cui seguono condanne a morte ad opera degli austriaci, dei Borbone di Parma, dello Stato Pontificio.

Dal libro emerge una figura di Mazzini ben diversa dalla narrazione consueta: un visionario incapace di organizzare il suo movimento che manda allo sbaraglio i suoi seguaci e che sembra avere chiaro solo il suo anticomunismo e la sua opposizione ai nascenti movimenti socialisti. Non a caso a lui si ispirarono non poco e si ispirano tuttora i fascisti.

Ma il pensiero socialista era destinato ad esser scoperto ed abbracciato anche dalla gran parte del popolo mazziniano che viveva di stenti.

Adriana Spera
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