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Martedì, 19 Mar 2024

Le ampie osservazioni sugli andamenti dell’inflazione, sorvegliata speciale delle banche centrali da quando i prezzi hanno iniziato ad alzare la testa più di quanto fossimo abituati a vedere, hanno spinto gli economisti ad approfondire le ragioni di questi rincari. Bisogna capire – e per il momento la risposta è positiva – se siano transitori. E tuttavia non è molto chiaro quanto duri questa transitorietà, visto che le ragioni che stanno sotto la salita dei prezzi sfuggono in gran parte al controllo dei policymaker.

Le previsioni macro diffuse da Ocse di recente, indicano che la curve dei prezzi rimarrà intonata al rialzo almeno per buona parte dell’anno prossimo. I primi segnali di normalizzazione si dovrebbero vedere alla fine del 2022.

Anche la Bce, nel sul ultimo bollettino economico, fa previsioni rassicuranti. Pur osservando una certa esuberanza dell’inflazione di fondo, ossia al netto della componente energetica e dei cibi freschi, prevede che entro i prossimi due anni quest’ultima tornerà nei limiti statutari.

Fin qui nessuna sorpresa, insomma. La vulgata della transitorietà dell’inflazione ormai è consolidata abbastanza da rassicurare gli operatori economici, che ormai hanno capito che le policy fiscali e monetarie internazionali seguiranno gli andamenti di questo 2021 per buona metà dell’anno prossimo. Anche la Fed di recente ha fatto capire che inizierà a raffreddare gli acquisti di asset a partire dal 2022 mentre i tassi dovrebbero rimanere fermi per tutto l’anno prossimo. E se l’inflazione dovesse ancora scaldarsi, pazienza: rimane un fenomeno transitorio fino a quando le banche centrali non diranno il contrario.

Il problema però è che sul versante dell’economia reale, ossia le questioni che ogni giorno gli operatori devono affrontare, il clima non è ancora dei migliori. La molla della ripresa è scattata, e non si capisce quanto restituirà in termini di maggior crescita strutturale una volta che si sarà esaurita la spinta del rimbalzo. Spinta che peraltro è all’origine di buona parte di queste tensioni inflazionistiche.

Sempre sfogliando l’ultimo rapporto Ocse, notiamo infatti alcune tendenze di fondo sulla cui durata è difficile fare previsioni. La prima è il costo delle spedizioni internazionali marittime, quasi quintuplicato da febbraio 2020, a dimostrazione di una strozzatura nelle catene di approvvigionamento.

Questo andamento si apprezza meglio se si inquadra nel più ampio movimenti di rincari che sta coinvolgendo il mercato delle commodity provocando diverse ricadute sull’inflazione e sugli scambi internazionali.

Sempre Ocse calcola che i prezzi globali delle commodity fra luglio e agosto scorsi fossero circa il 55% più elevati rispetto a un anno prima. Questo, unito al rincaro del trasporto, avrebbe aggiunto una notevole spinta inflattiva al costo delle importazioni che si è trasferita ai prezzi al consumo (vedi grafico sopra).

Gli scenari elaborati da Ocse sono fortemente condizionati dagli andamenti di queste tensioni che si immagina rimarranno lungo tutto quest’anno mentre non è affatto chiaro su cosa succederà il prossimo. Mentre è evidente che questi effetti genereranno un certo “trascinamento” lungo tutte le catene globali, che richiederà un certo periodo di tempo ad essere riassorbito, la questione è capire cosa succederà nel frattempo al commercio internazionale, che con queste strozzature logistiche, e il rincaro che provoca, deve fare i conti.

La questione è analizzata dalla Bce nel suo ultimo bollettino economico che si propone proprio di studiare l’impatto di queste strozzature sul lato dell’offerta sul commercio internazionale. Le vicende collegate alla pandemia hanno generato notevoli squilibri fra domanda e offerta che si osserva nella dilatazione dei tempi di consegna “senza precedenti”, come nota la banca. Ciò è risultato maggiormente evidente nei settori che dipendono proprio dai trasporti e da input afflitti da problemi di scarsità, come computer e beni elettronici, ma anche attrezzature, prodotti in legno, sostanze chimiche e autoveicoli. “A giugno – scrive la Banca – l’indice PMI mondiale relativo ai tempi di consegna dei fornitori ha raggiunto un minimo storico (cioé tempi di consegna più lunghi) dall’inizio delle rilevazioni nel 1999”.

A questo esito hanno concorso vari fattori, non ultimo il grave incidente di Suez della scorsa primavera. Adesso la situazione è in via di miglioramento, ma è ben lungi dall’essere normalizzata.

E questo è chiaramente osservabile se si osservano i tempi di consegna, particolarmente penalizzanti per l’Europa, che paga la sua lontananza geografica dai centri produttivi asiatici.

Situazione difficile anche per il mercato americano, pure se “le capacità di trasporto sulla rotta fra Asia e America settentrionale hanno segnato un recupero dalla pandemia più marcato rispetto alla rotta fra Asia ed Europa in parte in ragione dell’aumento di capacità derivante dal sostenuto andamento della ripresa osservato negli Stati Uniti”.
Questa osservazione ci riporta all’inizio del post, ossia agli andamenti dell’inflazione. Dal primo grafico si vede che l’andamento dell’inflazione negli Usa è particolarmente pronunciato nella prima metà di quest’anno. E’ chiaro che molto di questa accelerazione è dovuta proprio ai costi di trasporto. L’offerta della capacità di carico dei container, infatti, è abbastanza inelastica e poiché le tariffe spot dei container in uscita dall’Asia verso l’America settentrionale hanno toccato livelli record, gli operatori hanno trovato conveniente concentrarsi su questa rotta a scapito di altre. Una parte di questi prezzi si è evidentemente trasferita sui prezzi al consumo.

L’Europa, quindi, ha patito la “concorrenza” degli Usa. E in particolare l’hanno pagata i settori orientati all’esportazione “che hanno registrato la ripresa più veloce”, ma “sono interessati dalle carenze più gravi dal lato dell’offerta”.

Questi ritardi nelle forniture hanno strozzato la capacità europea di esportare, con un impatto variabile a seconda della vocazione dei singoli paesi. Ovviamente “l’impatto è maggiore per i paesi con esposizioni più consistenti nei confronti dei settori interessati alle strozzature”.

La Bce stima che “le carenze totali relative al livello di esportazioni di beni ammontano al 6,7% per l’area dell’euro e al 2,3% nel mondo intero”. Significa che l’export, in assenza di strozzature, sarebbe stato il 6,7% in più per l’aerea euro e del 2,3% in più per il mondo.

Ma, al di là di ciò che è accaduto, è ciò che può succedere che solleva molti dubbi. Il Covid sta tornando ad agitare l’Asia e, quindi, il trasporto marittimo. Significa che queste tensioni logistiche possono continuare molto più di quanto si preveda, rilasciando ulteriori spinte inflazionistiche nei prezzi alle importazioni. Nulla che si possa aggiustare manovrando i tassi di interesse. In queste circostanze, la fantasia creativa dei banchieri centrali è costretta a fare i conti con la dura realtà.

sgroi tondo bn 70x70Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
Twitter @maitre_a_panZer
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