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Venerdì, 29 Mar 2024

"Sentire in anticipo un terremoto. Pochi secondi, ma preziosi, grazie alla forza di gravità", è il titolo di un altro articolo sui terremoti, di Elena Dusi, questa volta su Repubblica.it.

I forti terremoti modificano il campo gravitazionale terrestre. Queste modifiche possono essere registrate con alcuni secondi di anticipo rispetto a sismometri, un tempo sufficiente in linea di principio per dare un allarme rapido, un early warning.

La Dusi è stata ispirata da un articolo, apparso su "Nature Communications", di Jean-Paul Montagner dell'Institut de Phisique du Globe e di nove suoi collaboratori.

Che le dislocazioni modifichino in maniera permanente il campo di gravità misurato alla superficie terrestre è un fatto noto. Già osservato in occasione del fortissimo terremoto dell’Alaska del 1964, è stato studiato teoricamente negli anni successivi da James Rice dell'Harvard University nel 1979, da James Savage dell'USGS nel 1984 e da molti altri ancora.

Succede per due motivi ben precisi dovuti alla deformazione elastica indotta dalla dislocazione, che produce variazioni di densità (dovute alle compressioni e alle dilatazioni) e variazioni della distanza della superficie terrestre dal centro della Terra.

In entrambi i casi, si tratta di variazioni statiche.

È certamente degno di nota in questo contesto l'ottimo studio di Jan Harms, pubblicato recentemente sul Geophysical Journal International, riguardante la variazione transiente della gravità prodotta da una doppia coppia di forze: questa variazione ha luogo non appena la sorgente si attiva e comincia a produrre variazioni di densità nelle rocce.

Ripeto: perturbazioni transienti di gravità, perfettamente rappresentate attraverso una doppia coppia di forze come origine.

L’articolo di Montagner, che ha suscitato l'attenzione della Dusi, si inserisce nel filone di ricerca dell’early warning, che viene sviluppato da alcuni anni nella speranza di trovare qualche fenomeno che consenta di diramare un allarme sismico nel brevissimo intervallo di tempo che intercorre tra l’attivazione della sorgente e l’arrivo delle onde sismiche.

La variazione transiente della gravità si propaga alla velocità della luce e, quindi, in un punto situato a sufficiente distanza dall’epicentro, anticiperebbe l’arrivo delle onde sismiche e consentirebbe di diramare un early warning utile.

Si tratta però di un segnale estremamente debole e, come ammettono gli stessi autori, è tutt'altro che facile distinguerlo dal rumore di fondo.

Il Presidente dell'Ingv, interpellato dalla Dusi, sembra particolarmente eccitato da queste variazioni di gravità, forse inconsapevole che assolutamente nulla hanno a che vedere con i suoi "gravimoti”. Anzi il lavoro di Harms e questo stesso articolo su Repubblica.it della Dusi riconducono tutto alla doppia coppia di forze come origine anche del processo che involve variazioni di gravità, quindi del tutto inconciliabile con il "gravimoto".

A scanso di equivoci, e per chiudere definitivamente la questione, ho analizzato con cura i lavori pubblicati dal presidente dell'Ingv e dai suoi collaboratori sui "gravimoti" per vedere se ci fosse un qualche aspetto che non avevo considerato o capito.

Il "gravimoto" viene introdotto come un nuovo meccanismo per i terremoti distensivi. Normalmente, si propone una nuova idea quando ci sono nuove osservazioni che non possono essere spiegate sulla base delle teorie esistenti. Dato che non è questo il caso, mi chiedo quale sia la motivazione per proporre questo nuovo inutile meccanismo.

Vuol cambiare il nome dell'Istituto, il marchio, la mappa di pericolosità sismica ... vorrà anche cambiare il modo in cui si verificano i terremoti ...

Nel merito, gli autori sostengono che le faglie distensive (normali) hanno un diverso meccanismo di accumulo e rilascio di energia rispetto alle altre faglie: per questo viene proposta la distinzione tra “gravimoti” ed “elastomoti”: quest'ultimi sarebbero i terremoti non "gravimoti".

Il meccanismo, che gli autori chiamano “modello geologico”, cioè un modello non fisico e non matematico ma esclusivamente qualitativo (insomma solo supposizioni non confutabili), è il seguente:

1) La faglia costituisce il margine tra due placche. Una delle placche è ferma (quella dalla parte del cosiddetto letto della faglia), mentre l’altra placca si allontana dalla prima a velocità costante.

2) Durante l’intervallo intersismico, la dilatazione generata in prossimità della faglia dal moto della placca produce una regione fratturata a forma di cuneo a una certa profondità lungo la faglia. Le fratture (tensili) vengono riempite da materiale sciolto o da fluidi.

In maniera del tutto tautologica, si afferma che l’esistenza di questo cuneo fratturato è suggerita anche dal fatto che il tetto della faglia non potrebbe collassare se non ci fosse uno spazio vuoto alla base della faglia. Con tutto il rispetto, un modo di ragionare "singolare".

3) Col procedere della dilatazione e della fratturazione, il cuneo perde gradualmente la sua resistenza e alla fine collassa sotto il peso del cosiddetto tetto della faglia, producendo il terremoto. Il collasso avviene grazie alla chiusura delle fratture tensili che implica l’espulsione dei fluidi (che si assume, senza spiegazione, che possa avvenire istantaneamente).

Per quanto sia un po' più elaborato, il meccanismo proposto ricorda quello dei “terremoti da crollo”, che veniva ritenuto valido fino a un centinaio di anni fa.

Il "terremoto da crollo" risale agli antichi Greci: secondo Anassimene di Mileto (586 a.C. circa 528 a.C. circa), la Terra è come una vecchia casa che crolla per cedimento della sua parte inferiore.

Anassimene fa parte di quel gruppo di grandi filosofi greci noti come i Milesi, da Mileto, insieme a Talete e Anassimandro ... Non c'è quindi da meravigliarsi se più di 2500 anni fa avevano già intuito il "gravimoto"... precedendo il Nostro di più di 25 secoli.

Molte sono le obiezioni che si possono avanzare contro i "gravimoti"; le principali:

1) il meccanismo proposto non è il risultato di un modello basato sulle teorie fisiche super collaudate come la meccanica dei continui, la meccanica delle fratture, la teoria dei mezzi porosi, ecc. ma è postulato dagli autori esclusivamente sulla base di ipotesi soggettive. Come dire che a loro piace così. E sui gusti non si discute ...

2) il metodo degli elementi finiti, che gli autori dicono di avere utilizzato per verificare il modello, assume a priori il meccanismo proposto: quindi può simularlo, ma non ne dimostra l’esistenza né la plausibilità fisica.

E questo è tipicamente ascientifico: al di fuori di qualunque logica scientifica.

3) anche ammettendo che il cuneo fratturato si formi, anche ammettendo che a un certo punto collassi e anche ammettendo che il collasso sia sufficientemente rapido, la funzione sorgente non sarebbe equivalente a una doppia coppia di forze e la radiazione emessa avrebbe una distribuzione diversa da quella che si osserva. Questo aspetto, cioè la verifica sperimentale necessaria per ogni teoria, viene totalmente ignorato dagli autori, come se fosse una seccatura perpetrata a loro danno da qualche cattivone invidioso dei loro fantasiosi "modelli "...

Lo dice anche Harns e con lui, di fatto, anche la Dusi: all'origine delle variazioni di gravità c'è e resta la doppia coppia di forze.

La semplice sollecitazione impulsiva non funziona, nel senso che non può produrre la radiazione sismica generata nei terremoti.

Va anche detto che, nelle conclusioni, gli autori ammettono che il “modello” è consistente solo con una certa categoria di terremoti distensivi, ma non con tutti (“This model is consistent with earthquakes along intraplate rifts, but it may not entirely apply to normal fault earthquakes generated as aftershocks of thrust faults along the bending of a subducting lower plate or in the hangingwall of a megathrust such as the outer trench-slope faulting associated to the event of 2011 Mw 9.0 off the Pacific coast of Tohoku”).

Mi si perdoni: la traduzione in italiano è troppo difficile e, comunque, anche in italiano non aiuterebbe a capire ... di che cosa stanno parlando.

Insomma: esistono, dunque, terremoti che non sono né "elastomoti" né "gravimoti"?

Normalmente, negli ambienti scientifici un assunto teorico non dimostrato viene semplicemente ignorato e dimenticato. In questo caso non si può fare, perché l'autore è al vertice di un Istituto il cui compito principale è la difesa dai terremoti in un Paese altamente sismico e altamente antropizzato.

Concludendo: mentre alcune decine di migliaia di persone hanno avuto la vita stravolta dai recenti terremoti nell'Appennino Centrale, trovo fastidioso che si discuta di previsione dei terremoti e di altre questioni esotiche sullo stesso argomento. Come ho scritto varie volte sul Foglietto e su altri giornali, il semplice buonsenso e una profonda conoscenza della sismicità italiana poteva far sì che il numero delle vittime e dei feriti venisse fortemente ridotto.

Ho l'impressione che tanti inutili discorsi parascientifici vengano fatti per distogliere l'attenzione da responsabilità gravissime.

Anzi, più di un'impressione.

Non dimentico che poche settimane dopo che era cominciato il mio lungo calvario processuale l'inventore dei "gravimoti" ebbe a dichiarare, facendosi riprendere:

"Il modello che io vi ho presentato oggi è stato fatto grazie all’esperienza dell’Aquila: prima io personalmente non lo conoscevo. Adesso mi sentirei di dire che si poteva dire che c’era, però io stesso – a parte che io non conoscevo terremoti precursori – ma non avrei potuto dire che stava per arrivare un terremoto“.


Poi, riferendosi al comportamento della Commissione grandi rischi, aggiungeva, “Certamente sono stati un po’ superficiali perché non potevano dire che non c’era rischio quando c’era una sequenza in corso, perché erano dei terremoti che aumentavano di numero e aumentavano di magnitudo, quindi non era stato raggiunto il picco, perché in genere se ci sono dei terremoti che aumentano, poi c’è il picco, e poi dei terremoti uno sciame successivo, quindi c’è un picco dell’energia … E’ un discorso molto complicato".

E continuava, "Certamente ho trovato leggero l’atteggiamento di non dire: non possiamo dire che non c’è rischio. Già il fatto di dire che non c’è rischio è di fatto già una previsione. Ora noi adesso sulla base di quella esperienza abbiamo imparato moltissimo e possiamo cercare di applicarlo e metterlo in opera per il futuro e cioè che ci sono molte evidenze che ci possono aiutare a dire ’sta per arrivare un terremoto’ in un ambiente estensionale tipo il nostro”.

Mi chiedo: perché niente è stato fatto prima del 24 agosto 2016, prima di Amatrice?

Niente! Assolutamente niente!

Perché non è stato usato il semplice buonsenso?

Perché chi di dovere è stato estremamente "leggero" e "superficiale" senza subirne conseguenze?

Sono morte 299 persone ... 299 persone: tutte o quasi potevano essere salvate.

Adesso si ha la sfacciataggine di dire che non subito ma nel futuro si potranno prevedere i terremoti ... si dice per cambiare discorso, forse per far dimenticare colpe, forse per chiedere finanziamenti ...

Non si dice mai quello che poteva essere fatto qualche mese fa.

Non si dice mai quello che potrebbe essere fatto subito!

Ma i problemi sono adesso, la gente muore adesso sotto le macerie ... oggi, ieri ...

In futuro faremo ... in futuro diremo ... In futuro ...

" ... la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione ...

sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno, ...

Ci sarà da mangiare e luce tutto l'anno,

anche i muti potranno parlare

mentre i sordi già lo fanno ...

anche i preti potranno sposarsi

ma soltanto a una certa età,

e senza grandi disturbi qualcuno sparirà,

saranno forse i troppo furbi

e i cretini di ogni età.

Vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico

e come sono contento

di essere qui in questo momento ...

vedi caro amico cosa si deve inventare

per poterci ridere sopra,

per continuare a sperare ...

L'anno che sta arrivando tra un anno passerà

io mi sto preparando è questa la novità".

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