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Venerdì, 29 Mar 2024

È ormai indiscutibile che costruendo edifici e infrastrutture in modo appropriato ci si potrebbe indubbiamente difendere dai drammatici effetti dei terremoti. Abbiamo una conoscenza più che sufficiente della sismicità italiana e indubbie competenze ingegneristiche per conseguire una finalità strategica e irrinunciabile per la nostra sicurezza e la credibilità del nostro Paese. Manca solo la volontà e l'impegno politico, come i recenti tragici avvenimenti nell'Appennino Centrale mostrano.

Il nostro è anche un territorio fortemente vulcanico e non esistono rimedi efficaci e concettualmente semplici per difendersi dalle eruzioni vulcaniche esplosive.

Due dei vulcani esplosivi più pericolosi al mondo, il Vesuvio e i Campi Flegrei, si trovano in una delle zone più antropizzate del Paese. Rappresentano una seria minaccia per circa due milioni di nostri concittadini.

Come ci si può difendere da un rischio simile?

In linea di principio, il modo per mitigare gli effetti di eruzioni del Vesuvio e dei Campi Flegrei sarebbe prevederle con un congruo anticipo per poter procedere all’evacuazione della popolazione esposta al rischio. La previsione di esplosioni vulcaniche però è tutt'altro che garantita. I meccanismi con cui un vulcano dormiente si risveglia e passa alla fase eruttiva non sono ancora completamente conosciuti. In particolare, questo è drammaticamente vero per le caldere vulcaniche che sono depressioni sub-circolari che si formano a seguito di grandi eruzioni.

Alcune caldere sono conosciute anche come ‘super vulcani’, cioè vulcani che nel passato hanno emesso dalle centinaia alle migliaia di chilometri cubi di prodotti vulcanici durante singoli eventi eruttivi. In Italia abbiamo un super vulcano: i Campi Flegrei. 39.000 anni fa eruttarono fra i 300 e i 400 chilometri cubi di rocce vulcaniche polverizzate in cenere.

È un argomento che negli anni recenti ha attirato in maniera particolare l'attenzione dei mezzi di informazione e dei politici.

Il 14 maggio 2015 un gruppo di Senatori presentò in Senato un'interrogazione molto dettagliata sulla questione. Non mi è dato conoscere la risposta se risposta ci fu. Mi ha colpito il fatto che nel testo si fa riferimento ad una severa sanzione, comminata ad un Ricercatore dell'Osservatorio Vesuviano, sezione napoletana dell'INGV, per aver espresso opinioni scientifiche in disaccordo con quelle "ufficiali" e, probabilmente, in modi non graditi. Non risultano smentite scientifiche di tali opinioni: la cosa è oltremodo preoccupante, non solo per fondamentali questioni di principio, ma anche perché così facendo si induce il sospetto che situazioni altamente pericolose vengano tenute riservate.

Che i Campi Flegrei debbano ricevere un'attenzione massima è fuori discussione. Se addirittura il Presidente della Grandi Rischi prospetta rischi inesistenti come un "effetto Vajont" in luoghi dove le condizioni geomorfologiche non lo consentono, è lecito immaginare che sarà stata dedicata un'attenzione eccezionale alla possibilità di eruzioni esplosive nel napoletano.

Le considerazioni che qui vengono espresse non son fatte per spirito polemico. Tutt'altro!

Recentemente, il tema è diventato d’attualità dopo che un articolo uscito su Nature ha evidenziato come i Campi Flegrei stiano nuovamente mostrando indiscutibili segni preoccupanti, che potrebbero preludere ad una nuova fase di riattivazione del vulcano.

Anche se non ci si aspetta una nuova super-eruzione, anche perché le eruzioni degli ultimi 10.000 anni sono state tutte di dimensioni molto inferiori a quella di 39.000 anni fa, il problema è drammaticamente serio perché anche un'eruzione modesta provocherebbe danni enormi in un’area fortemente urbanizzata.

Da decine di anni, il vulcano flegreo è soggetto a crisi periodiche (bradisismi) caratterizzate da sciami sismici e forti deformazioni del suolo. I bradisismi degli anni 70 e 80 del secolo scorso comportarono l’evacuazione del centro di Pozzuoli. Decine di migliaia di persone furono costrette ad abbandonare le loro case anche se poi, fortunatamente, il vulcano non eruttò.

La crisi attuale è differente: l’intensità dei fenomeni geofisici è al momento inferiore di quelle passate, ma dura da una decina d’anni, mentre nel passato gli innalzamenti del suolo e l’anomala attività sismica si sono protratti al più per un paio di anni.

Quello che mi ha particolarmente preoccupato, leggendo l'articolo di Nature, è il fatto che la crisi attuale è caratterizzata da processi che hanno accelerato nel tempo. Questo è un segno molto preoccupante perché crisi di questo tipo hanno caratterizzato negli ultimi 30 anni le fasi pre-eruttive di caldere in altri luoghi nel mondo.

Dalla lettura dell'articolo si evince che sotto i Campi Flegrei è in corso un processo di riscaldamento. Un processo che può far diminuire la resistenza meccanica dello strato di roccia che separa il magma dalla superficie. La risalita del magma ne risulta quindi favorita.

Il sottosuolo dei Campi Flegrei è già di per sé molto caldo: negli ultimi dieci anni i terremoti non avvengono al di sotto dei primi 2 chilometri circa. Siccome un terremoto consiste nella propagazione di una frattura e siccome in un ambiente plastico o duttile una frattura non si può propagare se ne deduce che le temperature sono molto elevate. E questo è incontrovertibile.

Il fenomeno meriterebbe uno sforzo speciale per essere meglio capito ed in qualche modo misurato. Sarebbe quindi il momento di intensificare gli studi, di investigare con i migliori ricercatori e le migliori tecnologie a disposizione le variazioni che stanno avvenendo in profondità.

E’ da tre anni che lo stato d’attività del vulcano è ufficialmente passato dal verde, lo stato di quiete, al giallo, quello di attenzione scientifica. Non risulta, però, che il passaggio abbia coinciso con un reale sforzo mirato a meglio capire quello che sta succedendo al vulcano.

Un acutizzarsi della crisi, segnalato dai ricercatori impegnati nello studio dei segnali precursori delle eruzioni flegree, era stato osservato tra il 2012 e il 2013. Successivamente, nel 2015, i segnali registrati in quel periodo furono interpretati con l’intrusione di magma a basse profondità, 2 o 3 chilometri al di sotto dell’area metropolitana di Napoli.

Non posso sapere che cosa queste osservazioni abbiano poi determinato operativamente. Temo, purtroppo, ben poco.

Mi risulta addirittura che programmi di ricerca mirati a capire l’origine della crisi, originariamente programmati come progetti triennali, in un primo momento siano stati retrocessi a biennali e, successivamente, abbandonati definitivamente.

E’ molto preoccupante questa mancanza d’attenzione scientifica sulle cause della crisi in corso, che si verifica poco dopo che i Campi Flegrei sono stati addirittura dichiarati in stato di attenzione scientifica.

È ancor più preoccupante scoprire che questa mancanza d'attenzione va in qualche modo a coincidere con programmi per lo sviluppo geotermico dell’area, che vede come protagonisti gli stessi organismi di ricerca, INGV ed Università, consorziatisi nella società AMRA, che dovrebbero rivolgere una particolare attenzione scientifica alla crisi in corso. Non va poi dimenticato che l'INGV ha fra i suoi compiti istitutivi la sicurezza dei cittadini, e certamente non quello di dedicarsi ad "affari", magari con accordi particolari con il Ministero dello Sviluppo Economico.

Che l'INGV si interessi a sviluppare l'energia geotermica risulta da documenti pubblici che illustrano il progetto geotermico denominato ‘Scarfoglio’. Un progetto che addirittura prevede la perforazione di pozzi per lo sfruttamento geotermico, esattamente nell’area dove i segnali geofisici sono più intensi: sulle pendici orientali della Solfatara di Pozzuoli.

In quell'area non solo si è concentrata l’attività sismica recente ma, proprio lì, il vulcano espelle quantità di gas dello stesso ordine di grandezza di quelle emesse da crateri vulcanici fortemente attivi!

Un'area che dista soltanto 2 chilometri dal centro di Pozzuoli!

Che la Presidenza del Consiglio dei Ministri e lo stesso MIUR intervengano affinché l'INGV recuperi il suo ruolo fondamentale di garanzia per la sicurezza dei cittadini e che, come prevede la nostra Costituzione, nessuno possa censurare la libertà di espressione della comunità scientifica dell’ente, sui grandi temi di sua competenza. Che non siano consentite intimidazioni di sorta, tramite sanzioni disciplinari, verso quei ricercatori che non condividano le opinioni dominanti e che, anzi, sia favorito il dibattito scientifico a tutti i livelli.

Opinioni diverse e dubbi sono sempre da considerare una ricchezza.

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