L’avvocato e la verità, di Ettore Randazzo, prefazione di Andrea Mascherin, editore Sellerio, Palermo, 2015, pp. 220, euro 12.
Recensione di Roberto Tomei
Il tema che dà il titolo al libro che qui si presenta è stato già trattato dall’autore dodici anni fa. C’era, però, l’occasione per tornarvi, essendo nel frattempo intervenuta la modifica del Codice deontologico forense (opportunamente riportato in appendice insieme al Codice etico del magistrato e alle Regole di comportamento del penalista nelle indagini difensive) e, in particolare, del vecchio articolo 14, ora articolo 50 del Codice vigente, dedicato proprio al rapporto dell’avvocato con la verità.
La nuova edizione del volume trae origine anche dall’insoddisfazione provata dall’autore stesso nel rileggere quanto scritto in precedenza, alla luce delle esperienze maturate in questi anni, che lo hanno portato a non vedere più i magistrati e gli avvocati “come li vedeva prima”.
Al centro della riflessione di Randazzo sta l’importanza della funzione della Difesa per il nostro ordinamento, in generale per l’ordinamento democratico, stante che “la libertà di un paese dipende largamente dalla libertà dell’avvocatura”. E ciò pur nell’amara consapevolezza, dall’autore più volte manifestata, che la categoria degli avvocati, non solo variegata e composita, ma anche in continua crescita, ormai inesorabilmente annovera anche persone non sempre “animate da nobili sentimenti”, divenendo così facile bersaglio dei detrattori (che, per la verità, non mancano mai anche nei confronti di altre categorie di professionisti).
Di certo, sottolinea l’autore, occorre respingere con forza quelle che sono per lo più improprie incursioni nel mondo del sistema giudiziario, solitamente favorite da opinionisti, da un lato assai approssimativi sulla funzione difensiva, più complessa di quanto non appaia, dall’altro fideisticamente convinti che solo la magistratura potrà regalarci una “palingenesi virtuosa”, dimenticando che già poco meno di un quarto di secolo fa non è riuscita a cogliere questo obiettivo, esito ultimo di una missione che peraltro nessuno le ha mai affidato.
Venendo al punto centrale dell’argomento del libro, esercitare la funzione difensiva vuol dire, per l’autore, essere garante delle regole, significa cioè che il difensore dovrà attenersi a importanti principi deontologici, quali ad esempio il divieto di introdurre prove false, dovrà mantenere assoluta autonomia tecnica dal proprio cliente, dovrà essere indipendente dal pubblico ministero e dal giudice, non dovrà mai compromettere la difesa privilegiando percorsi mediatici apportatori di, spesso discutibile, notorietà.
Il rispetto delle regole ovviamente è anche a tutela della parte offesa e dello stesso condannato, in quanto anche la condanna, attraverso il rispetto dei principi processuali, deve essere “giusta”. Se così è, va rifiutata quella visione dell’avvocato che intralcia lo svolgersi del processo con cavilli vari, allontanando così il giudice da quello che altrimenti sarebbe un poco faticoso approdo alla verità.
Insieme alla difesa delle regole del giusto processo, l’altro polo di equilibrio nel rapporto tra l’avvocato e la verità è dato dal dovere di fedeltà al cliente, nel cui interesse vanno usati tutti gli strumenti difensivi legittimi, compresa la tanto deprecata prescrizione, che rimane uno strumento di civiltà, in quanto preordinato a evitare un pericolo di abuso dello Stato sul cittadino, che, fino a prova contraria non colpevole, grazie ad essa viene sottratto alla pendenza “infinita” a suo carico di un procedimento penale.
L’essenza della difesa, dunque, è tutta in questa ricerca della verità, certo non assoluta, ma più giusta possibile, obiettivo al quale deve mirare un’avvocatura formata, di qualità e consapevole del proprio ruolo.
I libri talvolta evocano persone. Ebbene, scorrendo questo agile ma denso libro di Randazzo, ho rivisto per un momento davanti agli occhi l’immagine, mai dimenticata, dell’avvocato Edoardo Galdi, a lungo strenuo difensore delle ragioni degli iscritti a Usi-Ricerca, scomparso ormai da alcuni anni, per tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo maestro di dottrina e, prima ancora, di vita. Ho pensato così che fosse giusto ricordarne la figura, tanto più in questo momento in cui “gli esempi” non abbondano.
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