Università futura. Tra democrazia e bit di Juan Carlos De Martin, edizioni Codice, Torino, 2017, pp.236, euro 16.
Recensione di Roberto Tomei
L’università italiana è un’istituzione antica, nata quasi mille anni fa, che per secoli ha formato l’élite del paese, mentre con l’avvento dell’università di massa è passata a preparare i giovani per il mondo del lavoro, una vocazione ormai data per scontata, che l’autore invece rimette in discussione, alla luce delle sfide globali ineludibili per ogni paese e che il nostro, nonostante tutto, ben può affrontare.
A suo parere, “se messa nelle condizioni di farlo”, l’università italiana ha le risorse intellettuali ed etiche per aiutare la società a vincere le sfide che abbiamo davanti, anche se ciò richiede interventi normativi e risorse adeguate, soprattutto per gli atenei del Sud.
Tre gli obiettivi da perseguire, secondo De Martin. Innanzitutto, abbandonando l’idea di formare studenti in quanto futuri lavoratori, l’università dovrebbe tornare a educare persone, per farne soggetti realizzati, cittadini consapevoli e lavoratori intelligenti; in secondo luogo, l’università dovrebbe contribuire al sapere, da non intendere però soltanto come conoscenza ritenuta utile, ma come un ritorno ad avere uno sguardo lungo, favorendo la coltivazione di settori della conoscenza che in questo momento sono ritenuti economicamente poco utili, dato che, continuando di questo passo, si rischia di sottrarre ai nostri figli un patrimonio di conoscenze potenzialmente inestimabili; in terzo e ultimo luogo, l’università deve prendere coscienza del contributo importante che può dare alla democrazia,” un potenziale che in altri paesi è chiaro, ma che in Italia attende di venire discusso, capito e, soprattutto, praticato”. Un contributo che può dare, in un’epoca malata di presentismo, generando nuove idee e svolgendo il ruolo di coscienza critica della società.
Secondo l’autore, si tratta di idee che si possono iniziare a realizzare sin da subito, perché già presenti nelle nostre radici, che vanno soltanto adattate ai tempi, “valorizzando al massimo quanto di antico rimane cruciale – su tutto, i rapporti umani – e allo stesso (modo) sfruttando strumenti nuovi che possono essere preziosi per realizzare la sua missione, come Internet e in generale il digitale”. L’autore si mostra consapevole che l’università, naturalmente, non può risolvere tutto, “ma è importante che prenda piena coscienza delle sue potenzialità e faccia la sua parte coniugando rigore con immaginazione, fedeltà alle proprie radici con apertura al nuovo, autonomia con dialogo costante con la società”.
Che dire. Dopo tanti piagnistei e pochi mea culpa, finalmente una proposta organica corredata da un progetto di ampio respiro. L’auspicio è che questa sia l’occasione buona per aprire un confronto su un tema, come questo dell’università, di importanza vitale per il paese.
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