La Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – con ordinanza n. 14393/18, pubblicata il 5 giugno scorso, nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto il licenziamento di un lavoratore dipendente, reo di aver presentato una denuncia contro il proprio datore di lavoro, ha ribadito un importante principio di diritto.
Per i giudici della Suprema Corte, “la proposizione, da parte del dipendente, di denuncia penale nei confronti degli amministratori dell’ente pubblico-datore di lavoro per fatti illeciti dei quali sia venuto a conoscenza non costituisce giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, ma legittimo esercizio di diritti derivanti dagli articoli 21 e 24 Cost., a meno che non si dia prova della sua precipua volontà di danneggiare il datore di lavoro mediante false accuse, ovvero del superamento della soglia del rispetto della verità oggettiva con colpa grave o dolo, e fatta salva l’ipotesi in cui il dipendente, nel propalare la notizia in ambito lavorativo, abbia arrecato offesa all’onore e alla reputazione del datore di lavoro”.
“Anche la risonanza mediatica della legittima denuncia – precisano i giudici - costituisce un elemento irrilevante ai fini disciplinari e non può essere addebitabile al dipendente, derivante dallo stesso ruolo pubblico degli incolpati, tranne nei casi in cui essa sia provocata artatamente dalla condotta dello stesso denunciante, o quando il contenuto della notizia sia falsato per effetto del suo intervento”.
In conclusione, la Corte ha rigettato il ricorso proposto dal datore di lavoro, con condanna dello stesso alle spese di giudizio.
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