Li chiamano “avvisi di chiamata pubblica” eppure da un po’ di tempo di pubblico c’è ben poco. Ci riferiamo al bandi con i quali, periodicamente, il Ministero dell’istruzione, università e ricerca (Miur) raccoglie candidature di aspiranti alla carica di presidente di questo o di quell’ente di ricerca, il cui esame viene demandato a un comitato di scienziati, il cui compito è quello di valutare i curriculum e proporre al titolare del Miur una rosa di nominativi (quasi sempre, cinque) meritevoli di ricoprire l’incarico.
La scelta finale, naturalmente, spetta all’organo politico, che è appunto il ministro in carica.
Fino a qualche anno fa, quando la poltrona più importante di viale di Trastevere era occupata da Mariastella Gelmini, contestualmente alla nomina del presidente di un determinato ente di ricerca, veniva anche reso pubblico l’elenco dei cinque nominativi segnalati allo stesso ministro dall’apposito Comitato.
Finita la stagione Gelmini, anche questa sana e trasparente abitudine ha avuto termine, con la conseguenza che a nessuno, ma proprio a nessuno, è dato sapere tra quali candidati è avvenuta la comparazione, all’esito della quale il ministro ha fatto la sua scelta.
Eppure, dovrebbe essere interesse di tutti, ministro in testa, rendere pubblica la “cinquina”, non solo in ossequio ai principi della trasparenza e della buona amministrazione, ma soprattutto per rendere merito al vincitore, la cui nomina ne uscirebbe sicuramente rafforzata, qualora la partita fosse stata giocata tra candidati eccellenti, quali dovrebbero essere gli aspiranti alla presidenza degli enti di ricerca, in particolare, e degli enti pubblici, in generale.
Per come stanno le cose, invece, le possibilità di venire a sapere la rosa dei nominativi sembrano inferiori a quelle di fare una cinquina al lotto. La trasparenza, insomma, ridotta peggio di una lotteria.
Ci sembra un esito non proprio degno di uno stato di diritto, che della trasparenza ha fatto in questi ultimi anni una delle sue bandiere.