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Martedì, 16 Apr 2024

Le ultime notizie di cronaca sulle stragi parigine e malesi ci portano inevitabilmente a pensare al nostro millennio come una nuova epoca del male. La morte come spettacolo e i massacri di massa riempiono ormai le pagine dei media del mondo. La necessità di interrogativi non fa altro che portarci come soluzione a pensare ad una nuova Era, dove l’uomo non ha riparo.

In questo contesto di dolore, paura e vuoto sconfortante, quale sarà la storia delle nuove generazioni? Quali gli elementi di riferimento per imparare e comprendere il mondo? Quale comunicazione tra insegnante e allievo?

E come gestire una popolazione visibilmente intimorita dalle nuove maschere del male? In quale modo si gestisce un grande allarme, di cosa ha bisogno una società spaventata. Di rassicurazione? E se fosse una parola che in caso di atto terroristico diventasse rischio?

Riflessioni difficili, che rivolgiamo a Rita Di Iorio, psicologa e psicoterapeuta, coordinatrice del gruppo di lavoro “Psicologia delle emergenze dell’Ordine degli Psicologi del Lazio”.

Stiamo vivendo un momento molto difficile, di paura e incertezza. Bombardati da un susseguirsi di eventi tragici che accerchiano il nostro Paese. Eventi causati da atti terroristici, ossia causati dall'azione malevola di altri esseri umani. Terroristi che per colpire civili inermi  usano un'arma molto potente: la paura.
Paura e terrore che restano sempre attivi nella mente delle persone, anche a lungo tempo. Appena un Paese  viene scosso da questi eventi,  la paura, l'allarme, il disorientamento  riemergono e si amplificano.

A eventi traumatici di tale gravità, le vittime rispondono con  sconforto e impotenza. Il trauma legato a questa classe di eventi  è difficilmente elaborabile perché scaturisce, come dicevo prima,  da eventi provocati volontariamente e con determinazione, con  crudeltà e  ferocia da un altro essere umano.  I terroristi  trattano le vittime come oggetti, cose inanimate da distruggere e questo provoca reazioni psicologiche molto forti che per poter essere digerite ed elaborate  avranno bisogno di molto tempo e spesso un  sostegno psicologico. Per questo motivo è necessario un intervento tempestivo già dai primi momenti del verificarsi dell'evento, un intervento effettuato da esperti specializzati in psicologia dell'emergenza.

Nonostante tutto questo, non penso che ci troviamo di fronte ad una nuova Era del male, dove l'uomo non ha scampo.

Il male è sempre esistito in ognuno di noi. L'eterno conflitto fra il bene e il male, la luce e l'oscurità. Il male è sempre presente in ogni parte del mondo. Lo dimostra la storia con le innumerevoli guerre, attentati politici e religiosi, genocidi.

L'uomo fatica sempre nel tenere in equilibrio il bene e il male, ma il bene vince quasi sempre. L'uomo sano è in grado di scegliere la sopravvivenza perché costituisce un istinto primordiale. La maggior parte degli esseri umani fonda la propria esistenza sui valori della solidarietà, dell'amicizia, degli affetti. In questi ultimi anni questi valori hanno avuto un declino preoccupante, certo, ma  dopo ogni momento buio l'essere umano sa ritrovare le strategie psicologiche interne e le strategie sociali per riprendersi e ricostruire.

Anche nello stato attuale sono una minoranza le persone che perseguono la crudeltà, il dispotismo, la violenza, l'odio, il razzismo politico o religioso, la maggior parte della popolazione invece lotta per il benessere e il rispetto del prossimo.

Non dobbiamo farci schiacciare da quest'ondata di sofferenza e di dolore. Anzi bisogna combatterla con la fiducia nella capacità dell'uomo di reagire e organizzarsi per un futuro più roseo. E' questo il messaggio che deve essere trasmesso e condiviso con i propri figli, nipoti, con i propri studenti e allievi.

Naturalmente per poterlo trasmettere bisogna crederci. E' necessario comunicare ai i propri cari le ansie e le paure che tali azioni stanno scatenando. Specialmente con i più piccoli che si sentono più indifesi, deve essere l'adulto il filtro fra il mondo esterno e quello interno, che deve far sentire il suo sostegno, la sua presenza, continuare ad essere per loro un punto di riferimento emotivamente  stabile.

Di fronte ad una situazione di massa la gestione emotiva e comportamentale delle persone e di una comunità dipende, oltre che dalla propria vulnerabilità personale, anche dal livello di preparazione della popolazione a gestire l’emergenza, dal tipo di comunicazione che si riesce ad attivare immediatamente dopo l’evento, da ciò che la popolazione stessa sa sull’evento, dalla specifica guida che può ricevere dalle autorità delegate a gestire l’evento.
Ma tutto ciò non si improvvisa, è fondamentale  una preparazione preventiva, pianificata e svolta in "tempi di pace", prima che le emergenze si presentino.

Sempre più i piani di difesa e di controllo delle emergenze, da parte delle istituzioni, divengono precisi, sempre più l'organizzazione di protezione civile e difesa civile è organizzata, ma forse non viene presa troppo in considerazione la circostanza che una idonea risposta psicologica delle persone coinvolte in emergenza fa la differenza. Il cittadino deve essere educato, dall'infanzia all'età adulta, a saper gestire le emergenze che possono verificarsi nel proprio territorio, deve conoscere i rischi del proprio paese, e sapere a chi riferirsi in caso di emergenza, quali comportamenti attuare per aumentare il proprio livello di autoprotezione.

Questo comporterebbe un lavoro psicoeducativo da svolgere nelle scuole, nei centri di aggregazione, nelle università, come prassi, inserita tra le attività curriculari, come avviene in altri Paesi.

Altro aspetto importante è aiutare i cittadini ad affrontare un eventuale post emergenza per far sì che i danni psichici consequenziali ad un evento traumatico possano essere elaborati. Fra i compiti che uno psicologo dell'emergenza deve svolgere. possiamo ricordarne alcuni. Per esempio, sostenere psicologicamente, durante e nel post emergenza, le vittime per favorire l'elaborazione dell'esperienza traumatica vissuta: favorire il recupero di una nuova funzionalità per il ritorno alla quotidianità; favorire il recupero della consapevolezza della nuova situazione attuale conseguente alla catastrofe o all'incidente; individuare le strategie personali per gestire le proprie difficoltà; aiutare le vittime a mobilitare le loro capacità di coping e di resilienza all'evento traumatico in cui sono state coinvolte.

Ciò che viene rimosso a volte ritorna come eredità che una generazione trasmette a quella successiva.

L'Ordine degli psicologi sta lavorando molto per far conoscere ai cittadini la figura dello psicologo dell'emergenza e la possibilità di sostegno che tale figura può offrire e che soffre in diverse situazioni emergenziali. Inoltre, l'Ordine ritiene essenziale che anche le istituzioni possano utilizzare professionisti che abbiano seguito un serio iter formativo, perché non basta essere psicologo o psicoterapeuta, ma essere uno psicologo dell'emergenza.

Quale è la sua esperienza sul campo?

Sono circa 35 anni che mi occupo di protezione civile e psicologia dell'emergenza, fin da quando essa ancora non era una disciplina conosciuta. Mi occupo della gestione della prevenzione, degli interventi in emergenza e nel post emergenza, della formazione degli psicologi e degli operatori del soccorso. Per gli interventi in emergenza nella Regione Lazio bisogna far parte di un'associazione di volontariato di psicologi dell'emergenza, riconosciuta dalla stessa Regione, Protezione civile e rientrare nel protocollo di intesa con Ares 118.

Faccio parte di una di queste associazioni, sono vice presidente del Centro Alfredo Rampi onlus e, proprio con le nostre equipe di psicologi delle emergenze, svolgo anche interventi psicologici durante gli eventi critici come, per esempio, terremoti, eruzioni vulcaniche. A dicembre, per il prossimo Giubileo, saremo presenti nella capitale con la postazione di Ares 118.

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