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Martedì, 14 Mag 2024

Contro l’industria dei partiti, di Ernesto Rossi, con un saggio di Paolo Flores D’Arcais, editore Chiarelettere, Milano, 2016, pp. XXVIII- 99, euro 7,90.

Recensione di Roberto Tomei

Dai tempi del liceo, di Ernesto Rossi tutti ricordano almeno “Padroni del vapore e fascismo”, edito nella collana dell’Universale Laterza. Ma il Nostro, di cui mi onoro di aver conosciuto la moglie, Ada, è stato, invero, autore prolifico. Tra i suoi libri, ci piace qui ricordare “Abolire la miseria” (1946),” Non mollare” (1955) e “Il Sillabo” (1957), titoli, tutti, che lasciano intravedere i suoi temi prediletti, nei quali ha espresso la sua intransigente laicità e la forte ostilità nei confronti del capitalismo nostrano.

I testi che compongono il volume che qui si presenta, intitolato “Contro l’industria dei partiti”, tranne uno (“Il combustibile dei partiti”, che introduce gli atti di un convegno del Movimento Gaetano Salvemini, risalente al 1963) sono stati pubblicati sul settimanale Il Mondo tra il 1950 e il 1952 e riproposti, eccetto “La padella e la brace”, dall’autore insieme ad altri, sempre pubblicati su Il Mondo, in un volume dal titolo “Aria fritta”, edito da Laterza nel 1956.

Nella sua critica ai partiti, Rossi affronta due problematiche, purtroppo destinate a durare e tuttora oggetto di discussione: il finanziamento dei partiti e la strutturazione in partiti della sovranità popolare. Sul finanziamento dei partiti, Rossi è netto: non gli piace quello privato, che sottende un ritorno, come fosse un investimento, perché favorisce quell’intreccio perverso tra politica e affari, che mina la democrazia e altera il mercato, premiando disinvoltura e malaffare e favorendo la diffusione delle mafie; né gli piace quello pubblico, giudicato irrilevante ai fini della moralizzazione dei partiti e del contenimento della loro “auri sacra fames”. Questa fame, a suo parere, rimarrebbe tale e quale, poiché si tratta di una fame “insaziabile”.

Incidenter tantum, non va dimenticato che il finanziamento pubblico, come molti ricorderanno, è stato, a suo tempo, oggetto di un referendum popolare che l’aveva abrogato con una maggioranza plebiscitaria, ma quegli stessi partiti contro i quali Rossi aveva lanciato i suoi strali se ne infischiarono del pronunciamento popolare, facendosi beffe dei cittadini.

Come ci ricorda Flores D’Arcais nella sua bella prefazione, la polemica contro i partiti accomuna Rossi ad altri grandi intellettuali del secolo scorso, come Simone Weil e Albert Camus, che come lui hanno messo in guardia sulla loro tendenza totalizzante, sulla loro capacità di confiscare la sovranità popolare.

Una questione tuttora aperta, che il prefatore crede si possa avviare a soluzione soltanto con ”forze politiche di tipo nuovo, a geometria variabile, fondate sul rifiuto del mestiere-a-vita”, forze di cui individua anche il catalizzatore: “Settori di sindacato non omologato, testate giornalistiche refrattarie al richiamo della normalizzazione quirinalizia, intellettuali fuori dal coro di una responsabilità irresponsabile al limite di un nuovo tradimento dei chierici possono costituire il crogiuolo per le élite del nuovo Terzo stato”.

Forse con una punta di superbia, sentiamo di poter dire che finora Il Foglietto ha fatto la sua parte e che continuerà a farla.

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