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Venerdì, 26 Apr 2024

Café Society, di Woody Allen, con Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Steve Carell, Blake Lively, Jeannie Berlin, Sheryl Lee, Corey Stoll, Parker Posey, Anna Camp, Stephen Kunken, Paul Schneider, durata 96’, nelle sale dal 29 settembre 2016, distribuito da Warner Bros Italia.

Recensione di Luca Marchetti

Già nel precedente Irrational Man, Woody Allen ci teneva a riproporre una delle sue tesi più care: la vita è qualcosa di irrimediabilmente irrazionale e ogni uomo è destinato a perdercisi dentro. Se in quella pellicola nera e crudele il protagonista, interpretato da Joaquin Phoenix, rimane schiacciato dalla spietata logica di Allen qui, in Café Society, a farne in qualche modo le spese (con esiti meno drammatici ma non meno dolorosi) sono Jesse Eisenberg e Kristen Stewart.

Il film, che ha aperto l’ultimo Festival di Cannes, visivamente deve tantissimo all’incontro tra il regista newyorkese e il direttore della fotografia Vittorio Storaro.

Realizzato con un budget sensibilmente ridotto (la New York degli anni trenta è ricostruita quasi di nascosto, tra interni e squarci di esterni), Café Society ha un’attenzione estetica e una ricerca registica (esuberanti movimenti di macchina in un film di Allen!) che rendono, grazie a Storaro, la pellicola decisamente superiore alla media che il cineasta ha sfornato ossessivamente negli ultimi anni.  

Woody Allen, raccontando il coming of age di Bobby - giovane ebreo del Bronx partito per conquistare l’Hollywood dell’età dell’oro e tornato nella Grande Mela cambiato e con il cuore spezzato - riprende, quindi, ad ampliare il suo discorso melò sull’impossibilità dell’amore, in un nuovo riuscito capitolo, arricchito dalle sue evidenti e ritornanti passioni (il Cinema classico, Francis Scott Fitzgerald, la nostalgia del passato).

E’ evidente che in questa malinconica riflessione sui sentimenti e sulla vita, Allen metta molto della sua sensibilità ed è per questo che la scelta di Jesse Eisenberg come suo alter-ego funziona particolarmente bene. L’attore arriva in alcune scene a fare quasi un’imitazione macchiettistica del suo regista (nella sequenza con la prostituta è caricaturale) ma Eisenberg, con la sua naïveté newyorkese e la sua dolorosa ostentazione di una posticcia sicurezza di sé, riesce a regalare un’ottima sintesi tra il suo personaggio e il suo creatore.

La fortuna dell’attore, però, è quella di ritrovare sulla scena la sua co-protagonista “preferita”, quella splendida Kristen Stewart con cui l’alchimia cinematografica è perfetta. L’attrice, dalla carriera mai banale, dopo l’incontro con Olivier Assayas ha trovato, finalmente, la propria dimensione recitativa e infonde al suo personaggio una dolente e coinvolgente passione.

Al di là dell’hipsterismo (ante-litteram) dell’operazione, dell’ostentato fascino retrò e dei personaggi surreali, Café Society ha nel proprio cuore la storia di un amore irrealizzabile, l’ennesima vittima, come la Scarlett Johansson di Match Point, di una Vita che non salva nulla per seguire le direzioni che preferisce.

L’esito infausto di questo sentimento che, appena nato, è già finito tra Eisenberg e la Stewart diventa, così, la morale definitiva degli insegnamenti di Allen. Nello sguardo malinconico dei due protagonisti, lontani per sempre ma così struggenti nel voler, anche solo per un istante, ritrovarsi nel sogno di quello che sarebbe potuto essere ma non è stato, c’è tutto il dolore dell’autore. In lui, infatti, non c’è alcuna speranza.

Certo, nell’affrontare questa dura malinconia fatta di rimpianti (e rimorsi?) che è la nostra esistenza, possiamo ricorrere a un cinico sarcasmo e a una feroce ironia (e Allen non si tira indietro). La risata, per quanto liberatoria, però, non può che nascondere, solo per qualche istante, l’impossibilità di governare le traiettorie delle nostre emozioni e di seguire i nostri sogni d’amore.

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