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Lunedì, 22 Lug 2024

RAIDal 30 settembre al 2 ottobre scorso, si è tenuta a Lampedusa la 68^ edizione di Prix Italia, concorso internazionale, organizzato dalla RAI, per programmi di qualità, radio, TV e Internet.

Nel corso dell’evento, hanno suscitato un certo scalpore alcune dichiarazioni rilasciate all’Ansa da Franco Siddi, membro del cda dell’azienda di viale Mazzini, già segretario della Federazione nazionale della stampa italiana.

A Siddi non è andato proprio giù che l’Istat abbia inserito l'azienda Rai nell’elenco delle amministrazioni pubbliche, presenti nel conto economico consolidato dello Stato, pubblicato venerdì della scorsa settimana.

“Per l’Istat – ha detto Siddi - la Rai diventa un ufficio pubblico e cessa di essere un’azienda. C’è da chiedersi chi decide cosa e perché”. “Si cancellano di fatto – ha aggiunto - anche i chiarimenti importanti della recentissima legge sulla governance Rai, che definiscono i caratteri di impresa e la tipicità propria di un’azienda che è servizio pubblico ma sta sul mercato e ha in pancia una società quotata (Rai Way).

“In concreto -  ha concluso Siddi - persino avviare le procedure d’acquisto, con gara, delle nuove telecamere di ultima generazione potrebbe risultare impossibile in tempi ragionevoli così come la gestione delle attività editoriali per le quali tutti chiedono efficacia e tempestività”.

La forte contrarietà espressa da Siddi sembra destinata a contagiare tutto il cda dell’azienda radiotelevisiva.

L’Istat, infatti, per la prima volta nel 2016 ha inserito la Rai nell’elenco delle unità istituzionali appartenenti al settore della Pubblica Amministrazione, che contribuiscono al calcolo del deficit e dello stock di debito pubblico, senza peraltro alcuna motivazione rintracciabile tra le 48 note presenti in calce al provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 229 del 30 settembre 2016. .

L’esercizio finanziario del 2015 (ultimo bilancio disponibile) di Rai Spa, mostra un risultato di esercizio di -46 milioni di euro (in miglioramento rispetto ai 203,5 milioni di perdita del 2014) e una situazione debitoria di 349,5 milioni di euro (erano 228,1 l’anno prima).

Se questi numeri fossero confermati anche per l’anno in corso, i disastrati conti pubblici italiani risulterebbero, seppure in misura marginale, ancora peggiori di quello che sono.

Ma la scelta dell’Istat nella delimitazione del perimetro delle Amministrazioni pubbliche non ha carattere discrezionale, in quanto risponde a ben precise definizioni e regole previste dal Sistema europeo dei conti (Sec 2010).

La lista delle unità istituzionali (il cosiddetto settore S13) è stilata sulla base di criteri di natura prevalentemente economica, indipendentemente dal regime giuridico che le governa.

In particolare, la Rai rientrerebbe tra le società o quasi-società controllate da un'amministrazione pubblica (nel caso di specie il Ministero dell’Economia e Finanze, che ne è azionista unico), la cui produzione consista prevalentemente in beni e servizi non destinabili alla vendita, ovvero che i proventi derivanti da vendite o entrate ad esse assimilabili non riescano a coprire almeno la metà dei costi di esercizio.

Se la seconda condizione è sicuramente rispettata, considerando che la maggior parte dei ricavi deriva dal canone pagato dagli abbonati (1.637,5 milioni di euro su un totale di 2.335,3, il 70%), non altrettanto si può dire per la prima, considerando che il mercato dell’informazione radio-televisiva ha natura concorrenziale.

L'elemento determinante che ha indotto l'Istat a spostare dal settore S11 delle imprese a quello S13 delle pubbliche amministrazioni, è la Legge di Stabilità 2016 che avrebbe modificato la natura del pagamento del canone da tariffa per la fruizione di un servizio a imposta da versare all'Erario per il tramite delle utenze di energia elettrica.

Delle due l'una: se il canone TV è divenuta una tassa, la relativa voce doveva essere eliminata dal paniere dell'inflazione, dove invece è ancora presente con una diminuzione dall'inizio dell'anno del 12%. 

Al di là dei risvolti statistici, non certo irrilevanti, non è escluso, comunque, che la querelle possa finire dinanzi al Tar, anche perché, con l'inserimento della Rai nell'elenco delle pubbliche amministrazioni, non ci sarebbero più dubbi sul fatto che ai membri del cda, già collocati in quiescenza (quattro su sette), non spetti alcun compenso, secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 9, della legge 135/2012.

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