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Sabato, 13 Dic 2025

Essendo stato nominato Premio Nobel per la Chimica, Giulio Natta, forse una delle ultime grandi espressioni del genio italico, l’immortalità l’ha giustamente conquistata oltre mezzo secolo fa e niente avrebbe fatto pensare a una sua resurrezione sotto forma di Fondo per cattedre speciali (ben 500) da dare a professori eccellenti, pagati meglio dei loro colleghi (il 30% in più). Ma tant’è.

Sennonché, mentre ogni resurrezione degna di questo nome incontra solitamente l’universale plauso, stavolta le cose sono andate diversamente. Ricapitolando brevemente, qualche settimana fa Il Foglietto è stato tra i primi a trattare l’argomento del Fondo Natta, dando conto altresì del fatto che la novità della sua apparizione nel panorama universitario aveva prodotto in ambito accademico più di qualche mal di pancia. Soprattutto per due motivi: 1) sembra, ma staremo a vedere se alla fine sarà così e speriamo proprio di no, che i milioni del Fondo (a regime ben 75) rischino di essere le sole risorse aggiuntive destinate all’università; 2) sembra inoltre, stando a una voce dal sen fuggita, ma si tratta di voce autorevole, che la selezione che si andrà a inaugurare col Fondo stesso potrebbe diventare il meccanismo a regime col quale reclutare i futuri accademici. Sarebbe, insomma, una sorta di selezione pilota che celerebbe l’intenzione del governo di chiudere una volta per tutte il capitolo degli scandali che da qualche tempo accompagnano lo svolgimento dei concorsi universitari e sarebbero, secondo Cantone, all’origine della fuga dei cervelli.

Nel mondo accademico ha suscitato grande perplessità e viva preoccupazione anche il fatto che a gestire la procedura del Fondo Natta, in particolare la formazione delle commissioni di concorso, fosse direttamente Palazzo Chigi e non il Miur, con la Crui e l’Anvur all’oscuro di tutto.

Ne è seguita, com’era prevedibile, un’interrogazione parlamentare da parte dell’opposizione, nello specifico del M5S, che ha chiesto di saperne di più, in quanto la procedura in questione, comportando la nomina diretta dei commissari da parte della politica, costituirebbe, oltre che una palese ingerenza, un’inaccettabile deroga alle normali procedure di reclutamento. In definitiva, i pentastellati hanno chiesto alla ministra Giannini di ritirare il decreto e di indirizzare le risorse disponibili al ripristino del turnover al 100% o, in alternativa, di modificare il decreto stesso, assegnando al Cun il compito di nominare i presidenti delle Commissioni.

La richiesta è stata ”bocciata” dalla titolare del Miur, che ha assicurato che il meccanismo di selezione dei presidenti delle commissioni è improntato a “un principio trasparente” e di “massima condivisione internazionale”. Forse inconsapevolmente, ma con questa storia dei commissari il governo finisce quasi per equiparare l’università, pur malata, addirittura alle zone terremotate, fermo restando che nessuno sa dire in quale altro posto al mondo i professori vengono selezionati da commissari del governo.

La ministra ha altresì sottolineato che il decreto, per come congegnato, non lede il “principio sacro” dell’autonomia universitaria, a suo dire ”garantito dalla facoltà che gli atenei hanno di chiamare o non chiamare, secondo le loro esigenze, eventuali vincitori di questa selezione straordinaria”. In ogni caso, sempre secondo la ministra, il provvedimento è ancora al vaglio del Consiglio di Stato per il parere di rito e poi sarà oggetto di dibattito parlamentare, sicché in quella sede ben potrà essere migliorato o integrato. Il Miur si è insomma dichiarato ”aperto ad accogliere eventuali suggerimenti e proposte”.

Vedremo se anche la posizione di Palazzo Chigi sarà ugualmente “aperturista” come quella della Giannini, magari fino al punto di rinunciare ai commissari di governo.

Lo sperano in tanti, ma sono in pochi a crederci.

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