Parola di Dio, di Kirill Serebrennikov, con Viktoriya Isakova, Yuliya Aug, Pyotr Skvortsov, durata 118’, nelle sale dal 27 ottobre 2016, distribuito da I Wonder Pictures.
Recensione di Luca Marchetti
Più che dall’imponente titolo italiano, il senso grottesco del film Parola di Dio è ben sintetizzato dall’originale (M)uchenik, efficace gioco di parole tra martire (muchenik) e studente (uchenik).
La pellicola del celebrato, giovane, regista Kirill Serebrennikov (già passato in concorso al Festival di Venezia) è, infatti, la storia di Veniamin, un rabbioso liceale di un’anonima cittadina russa che, come un violento profeta, urla citazioni bibliche contro professori, genitori e compagni, per imporre la propria visione religioso-morale della vita.
Passato con grande clamore all’ultimo Festival di Cannes (nella sezione “Certain Regard”), Parola di Dio è tratto dalla pièce tedesca di Marius von Mayenburg, già portata in teatro dal regista, e si rivela subito come un esasperante/esagerato gioco al massacro, lungo i pendii del delirio di onnipotenza del protagonista.
Reso invincibile dalla Bibbia, che cita a memoria (le citazioni che appaiono sullo schermo, con capitolo e verso, sono una delle trovate visive più convincenti del film) e dall’ottusità degli adulti, pronti per impotenza o accondiscendenza a tollerare la violenza del ragazzo, Veniamin diventa un vero e proprio terrorista verbale, un incubo che incombe nella vita scolastica dell’intero liceo. L’unica che sembra tenergli testa, nella sua fiera e cieca fede nella scienza, è la professoressa di Biologia, disposta anche ad annullarsi all’interno di questa disputa “intellettuale” (meglio dire, ideologica) pur di sconfiggere il mostro oscurantista.
Come già dimostrato nelle sue precedenti opere, Serebrennikov è autore di talento, forte di una solida e orgogliosa provenienza teatrale, che non crede che la via dell’equilibrio, visivo o narrativo, sia la migliore per esporre le proprie idee.
Parola di Dio è un’opera che, sin dalle prime scene, sceglie la strada dell’evidente e dell’esplicito, calcando la mano in qualsiasi situazione o atmosfera. E’ chiaro che l’obiettivo del regista è quello di raccontare la deriva oscurantista e autoritaria della Russia di Putin (sempre presente nelle foto ufficiali appese alle pareti delle classi e degli uffici), in una metafora che diventa sempre più manifesta e ostentata, fino al ridondante.
L’obiettivo politico è urgente e sentito da Serebrennikov, quindi, possiamo anche arrivare a scusare le sue ambiziose cadute di stile. Il suo fervore è, però, talmente grande da rendere il film, in più punti, quasi intollerabile.
Al di là delle ingombranti idee del regista (così simile al suo protagonista nello sbattere in faccia all’altro la propria tesi, quasi senza contraddittorio), è innegabile che Parola di Dio sia una pellicola che colpisce così a fondo proprio per il suo essere un terribile, universale, racconto.
La follia teocratica di Veniamin e dei suoi “discepoli” inconsapevoli, il suo dileggio e il suo disgusto nei confronti dell’omosessualità, della religione ebraica o dell’evoluzionismo, sono inammissibili tratti che ritroviamo anche nella nostra civiltà “laica” e occidentale, dai bigotti Stati Uniti alle urla reazionarie in molte manifestazioni di piazza che abbiamo intravisto anche da noi, negli ultimi mesi.
Il film diviene così non solo una fotografia angosciante della Russia odierna ma un severo monito generale verso l’abuso della religione e dei suoi temi (cristianesimo o islam non è importante), trasformati da fanatici di turno, con estrema facilità, in armi di distruzione di massa.