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Sabato, 18 Mag 2024

“Cambiare verso”, “rottamazione”, “un premier sindaco degli italiani che dia loro voce”, queste le parole d'ordine con le quali Matteo Renzi ha “affatato”, come direbbe Camilleri, gli italiani.

Slogan volati via d'un fiato, come dimostrano i fatti accaduti in due anni, in particolare, il caso dell'emendamento Guidi emerso nei giorni scorsi. Chissà quanti nostri lettori ci hanno creduto e oggi si ritrovano a osservare un modus operandi fatto di politiche familistiche e lobbistiche, che pensavano definitivamente sepolte.

L'illusione di un cambiamento che si è rivelato quasi un flash back degli anni '50, dalla legge truffa alle politiche energetiche, ma che appare ben più pericoloso, perché gli italiani sembrano non avere più gli anticorpi culturali e politici, la memoria storica, per evitare di ritrovarsi con un governo autoritario, che non risponde a nessuno se non alle lobby (che ora vorrebbero, addirittura, istituzionalizzare con un’apposita legge).

Nei mesi scorsi, in occasione della Conferenza per i cambiamenti climatici delle Nazioni Unite di Parigi, il nostro governo ha sottoscritto un accordo molto impegnativo, che prevede una politica energetica incentrata sulle rinnovabili. Pensate che abbia posto in essere provvedimenti per dare seguito a quegli impegni? Che abbia “cambiato verso” alla Legge di stabilità 2015 che definiva i siti petroliferi, le pipe-line, i centri di stoccaggio «infrastrutture di interesse strategico nazionale» beneficiari del trattamento fiscale più favorevole al mondo? No, la Strategia Energetica Nazionale (Sen) dà incentivi ai petrolieri e anziché puntare sulle rinnovabili toglie ad esse tutte le agevolazioni.

Così sono state introdotte nuove tasse sugli impianti fotovoltaici e, mentre, sono favoriti metanodotti e oleodotti, come quello che da Tempa Rossa arriverà nella già martoriata Taranto, viceversa, non è possibile immettere direttamente il biometano in rete. Insomma, chi doveva “cambiare verso”, ha proseguito sulla rotta di chi ha costruito, anno dopo anno, un sistema di regole, provvedimenti, Leggi finanziarie, decreti d’urgenza a vantaggio di chi estrae petrolio e gas.

Il governo ha continuato su questa strada anche dinanzi alle richieste di ben 9 Regioni, 7 delle quali governate dal Pd, e così si è giunti al referendum (il primo nella nostra storia richiesto dalle Regioni) che si terrà il prossimo 17 aprile.

Ha tirato dritto anche di fronte alla richiesta di accorpare il referendum con le elezioni amministrative, per risparmiare i 350 milioni necessari per tenere la consultazione. Renzi, come fecero già Craxi ed altri poco amanti delle consultazioni popolari, ha invitato gli italiani a non votare (non sia mai si raggiungesse il quorum necessario affinché la consultazione sia valida), poi ha detto pure che sono soldi sprecati (sic!).

Mai campagna referendaria fu più oscurata e breve (si vota nei tempi minimi di legge), addirittura c'è una circolare del Ministero degli Interni che vieta agli eletti negli enti locali di parteciparvi. E come se non bastasse, si rischia di tornare alle urne, e di spendere altri 3-400 milioni, in quanto, su due dei cinque quesiti che la Cassazione ha dichiarato decaduti, Basilicata, Sardegna, Veneto, Liguria, Puglia e Campania hanno deciso di sollevare conflitto di attribuzione. Le Regioni, infatti, sostengono che non si possano rilasciare nuove concessioni finché non viene varato un Piano delle Aree e contestano la possibilità data alle società petrolifere con la legge di Stabilità di scegliere tra titolo concessorio unico, valido trent'anni, e vecchie concessioni che, con le proroghe, valgono fino a cinquant’anni.

Ma perché tanta paura per un referendum che riguarda ormai solo le concessioni entro le 12 miglia? Forse c'è un problema di entrate per le disastrate casse dello Stato? No, le aziende petrolifere versano appena 352 milioni di royalty (milioni che possono detrarre dalle proprie tasse); di contro, si stima che esse godano di incentivi erogati dallo Stato, che si sommano a molti altri privilegi, per un totale di 2,1 miliardi come ben riassunto in un articolo di Milena Dominici.

Ebbene, il problema sta proprio lì, nel sistema fiscale e nelle agevolazioni. In Italia, si pagano royalty pari al 10% per il gas e al 7% per il petrolio in mare, ma c'è una franchigia consistente. Ossia, se si estrae poco l'anno non si paga nulla. Ecco perché è importante prolungare all'infinito le concessioni, per non pagare neppure le più basse royalty d'Europa. Negli altri paesi la tassazione grava sugli utili per il 77%, come in Danimarca, l'82%, come in Inghilterra, il 78%, oltre i canoni di concessione, in Norvegia. Per le attività di prospezione e ricerca, da noi, si paga appena 1 milione, altrove, in Europa, sarebbero almeno 300milioni. Calcolate voi quali sarebbero le entrate per lo Stato italiano se si comportasse allo stesso modo. A Tempa Rossa, di cui si parla in questi giorni, Total paga 62 milioni, a fronte di un miliardo di ricavi.

Ma non basta, a fronte di basse entrate per l'erario, vi sono altissimi costi ambientali e sanitari, come dimostrano le inchieste  in corso in Basilicata e Sicilia.

Tuttavia, se non si raggiungerà il quorum necessario a rendere valido il referendum, il Governo potrà dare l’ok ad una serie di interventi invasivi con gravi ripercussioni ambientali.

Il 17 aprile perciò andremo a votare, non solo per bloccare le trivellazioni senza termine entro le 12 miglia marine, ma per chiedere una diversa politica energetica, capace davvero di arrestare il surriscaldamento globale che sta stravolgendo la Terra e che ogni anno provoca centinaia di migliaia di morti.

Il quesito referendario è: "Volete voi che sia abrogato l'art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, 'Norme in materia ambientale', come sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 'Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)', limitatamente alle seguenti parole: 'per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale'?".

In altri termini, ci viene chiesto se vogliamo che i pozzi già autorizzati, anche quelli entro le 12 miglia marine, possano essere sfruttati fino ad esaurimento del giacimento, ovvero senza limiti di tempo (nonostante la  direttive europea 94/22/CE preveda un limite di 30 anni) e senza controlli sullo smantellamento delle piattaforme.

I giacimenti interessati sono Guendalina (Eni) e Gospo (Edison) nel mare Adriatico e il giacimento Vega (Edison), nelle acque di fronte alla città di Ragusa, in Sicilia.

Renzi dice che sono in ballo 11.000 posti di lavoro. Falso. Le piattaforme richiedono manodopera in fase di costruzione, poi vengono gestite, prevalentemente in remoto, da pochissime persone.

I posti a veramente a rischio sono ben più numerosi, sono quelli di 60mila pescatori, di 3 milioni di occupati nel turismo costiero e  3,3 milioni nell'agroindustria, senza contare chi lavora nel settore dei beni culturali. E sì, perché in caso di incidente in un mare chiuso come il nostro - dove, normalmente, occorrono 100 anni perché si rinnovi la massa d’acqua superficiale, 7.000 per l'intera massa - in caso di gravi incidenti, secondo il Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamenti di idrocarburi o di altre sostanze nocive causati da incidenti marini, realizzato dall'Ispra, le varie tecniche di rimozione consentirebbero di recuperare al massimo il 30% delle sostanze sversate.  

Ma, già ora, con le semplici attività di routine delle piattaforme, c'è uno sversamento continuo di sostanze letali per l'ambiente e per tutti gli organismi viventi nel mare. Un inquinamento che arriva fino all'uomo attraverso la catena alimentare,

Le 135 piattaforme (dati Mise, 119 per Assomineraria, di cui 64 quelle entro le 12 miglia coinvolte dal referendum) creano una situazione di rischio, che ha fatto scendere in campo per il Sì al referendum le associazioni più varie, il mondo accademico, l’Ordine nazionale dei Biologi perché è «necessario preservare gli habitat marini con un’economia attenta alla biodiversità e alla tutela dell’ambiente» e, persino, i Vescovi.

Pensate a ciò che è successo nel 2010 con la piattaforma Deep Water Horizon nel Golfo del Messico, disastro per il quale BP dovrà pagare 20 miliardi di dollari. Ma è l'America, in Italia chi provoca disastri ambientali non paga mai.

Ma non basta, per cercare il petrolio si utilizza la tecnica dell'airgun, ossia esplosioni sottomarine di aria compressa che possono modificare i comportamenti e indebolire il sistema immunitario di molti animali. Il pescato potrebbe diminuire del 50% e non è da escludere che lo spiaggiamento anomalo di capodogli, balene e delfini dipenda da questa tecnica.

E v'è di più. Nella zona dell’Alto Adriatico, con 463 pozzi, vi è il pericolo della subsidenza. L’estrazione di gas sotto costa causa la perdita di volume del sedimento nel sottosuolo, generando un abbassamento della superficie topografica favorendo mareggiate e piene fluviali, l’erosione costiera, con tutte le conseguenze negative che conosciamo sulle attività turistiche rivierasche.

Tutto questo, per ricavare petrolio di pessima qualità che basta appena a soddisfare per 7 settimane il fabbisogno nazionale; quanto poi alle attività entro le dodici miglia, esse soddisfano solo il 3% dei nostri consumi di gas e meno dell’1% di petrolio.

Complessivamente, se venissero estratti tutti, i nostri idrocarburi potrebbero soddisfare il fabbisogno italiano per 13 mesi, ma non si sa con quali danni per l'ambiente.

Se oggi la nostra bolletta energetica è diminuita, è solo grazie a quel 40% di energia rinnovabile prodotta. Come mai ma non si fa nulla per incentivarla? Perché è vietata l'autoproduzione di solare o di eolico? Siamo talmente all'avanguardia che le nostre imprese realizzano nel mondo le migliori centrali solari, eoliche e geotermiche. Perché non le realizzano qui? Perché non si investe in una riconversione del settore estrattivo nelle rinnovabili? Si potrebbero generare almeno 600mila nuovi posti di lavoro e salvare i 9mila addetti del settore estrattivo.

Perché dobbiamo continuare a dipendere da fonti fossili, ipotecando il futuro della Terra?

“Cambiamo verso” noi, votando Sì!

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