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Lunedì, 06 Mag 2024

Orazione in lode della filosofia, di Arthur Schopenhauer, traduzione e cura di Giuseppe Invernizzi, Editore Il Melangolo, Genova, 2015, pp.55, euro 6.

Recensione di Roberto Tomei

Di famiglia agiata, come ci ricorda il curatore, Schopenhauer si dedicò esclusivamente allo studio della filosofia. Non aveva, infatti, bisogno di lavorare, in quanto poteva contare su una rendita annua di 1500 talleri, al tempo in cui Hegel ne guadagnava 2000 come docente universitario a Berlino. Nel 1818 pubblicò così il suo capolavoro, “Il mondo come volontà e rappresentazione”, che non ebbe però il successo sperato, con vendite che andavano a rilento, essendosi in parte avverato il timore dell’editore “di aver stampato carta da macero”.

A questa delusione si aggiunsero poi problemi materiali ai quali il Nostro pensava di restare sempre estraneo, allorché la Casa commerciale presso la quale la famiglia aveva depositato il suo capitale si dichiarò insolvente e propose un concordato che prevedeva il rimborso di solo un terzo del capitale depositato. Non per i suoi familiari, che perdettero somme ingenti, ma per Schopenhauer la vicenda si concluse bene, visto che riuscì a recuperare tutto il suo denaro; nondimeno, egli ne trasse la convinzione che per il futuro sarebbe stato opportuno affiancare alla rendita una qualche forma di attività e si orientò così verso l’insegnamento universitario, che gli avrebbe consentito anche una maggiore diffusione della sua filosofia.

Maturata tale decisione, Schopenhauer doveva mettersi nella condizione di avere i requisiti per svolgere l’insegnamento, che sembra non fossero difficili da acquisire, anche se poi era quasi impossibile tenere effettivamente un corso, in particolare quelli di filosofia, perché non facilmente  si raggiungeva il numero degli uditori, da cui dipendeva il rendimento economico del docente. Ciò spiega perché il Nostro di corsi ne tenne uno solo, quello del 1820, mentre gli altri, pur annunciati, mai ebbero svolgimento.

Oltre a inviare il curriculum vitae e l’elenco delle pubblicazioni, l’aspirante docente doveva, all’epoca, dar prova di sé in una lezione da tenersi di fronte al corpo docente della Facoltà, cui seguiva una discussione. Piuttosto che lezione meglio sarebbe dire “discorso inaugurale”, che è appunto quello che ci viene ora riproposto dal Melangolo, con traduzione a fronte, dato che, come s’usava allora, è scritto in latino.

Com’è intuibile, si tratta di un testo breve, nel quale l’autore scelse di esaminare il tema dell’importanza della filosofia nella vita degli uomini. In questa “Declamatio in laudem philosophiae” (questo il titolo della lezione), Schopenhauer non espose idee nuove o profonde, anche se toccò, comunque, alcuni aspetti interessanti, tenuto conto del contesto in cui erano collocati. Vediamo così che, in anni in cui si rifletteva su come sviluppare in modo scientifico il sapere filosofico, il Nostro optò per un ritorno alle origini della filosofia, affrontando temi come il mistero del mondo, l’enigmaticità dell’esistenza e il destino dell’uomo, quasi adombrando l’idea che la filosofia debba giungere a identificare una dimensione dell’esistenza che si radichi nell’eternità, ritagliandosi un ruolo consolatorio, secondo una prospettiva che contrasta con gli esiti ultimi del suo pensiero, decisamente orientato al pessimismo.

Coerente, invece, con gli sviluppi della sua filosofia, ampiamente espressi nel “Mondo”, è l’ostilità mostrata verso la religione, quale risulta dal giudizio molto severo nei confronti della filosofia medievale, giudicata “di infelice natura”, per essersi  riservato il ruolo di ancella della teologia. Su questo punto, per Schopenhauer, non ci doveva essere confusione: religione e filosofia sono in concorrenza tra loro, in quanto entrambe cercano di dare risposta agli stessi problemi; pertanto, la filosofia non potrebbe svolgere liberamente il suo compito se dovesse conformarsi alle indicazioni della religione.

Altro aspetto degno di nota della “Laudatio” è la critica nei confronti di tutta la filosofia postkantiana, perché portata avanti in un’università come quella di Berlino, dominata da Hegel, che mai avrebbe potuto accettare un giudizio così drasticamente negativo.

Se non altro per gli aspetti testé ricordati, il “piccolo” libro di Schopenhauer merita senz’altro di essere letto, cercando così, secondo il suo insegnamento, di “trascorrere la vita non al modo dei dormienti, ma a quello di coloro che son desti”.

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