Redazione
L’ennesimo processo di riassetto dell’Istat, che va avanti da quasi due anni, appare sempre più improntato a creare nuove poltrone piuttosto che a soddisfare reali esigenze di riorganizzazione, all’insegna della ormai inflazionata “efficienza e efficacia”, l’endiadi di cui la burocrazia nostrana non riesce a fare a meno.
Dopo aver creato dal nulla la direzione centrale per gli affari legali, nell’ambito della direzione generale, e aver sovrapposto alle già pletoriche direzioni tecniche (n. 11, inclusa la Scuola di statistica) le sovrastrutture dipartimentali (n. 4), il presidente Giovannini, che ha gestito in prima persona tutte le nomine, con l’ausilio di ignoti (tranne che a lui) commissari di valutazione, sta ora varando l’articolazione del Servizi tecnici.
Il documento esordisce con la soppressione di tre servizi, promettendo la riallocazione delle relative risorse. Per la verità, servizi da sopprimere non mancano, ma sono stati graziati. Sicuramente non si capisce che fine faranno le statistiche “sulle pubbliche amministrazioni”, dove già avevano trovato asilo le soppresse statistiche giudiziarie, delle quali mai come in questo momento si sente tanto il bisogno.
Forse a Giovannini spiacerà, ma dobbiamo constatare che per il resto non c’è nulla di nuovo sotto il sole, a parte le maggiori entrate nelle tasche di alcuni dirigenti.
Balzano agli occhi, quanto meno, due discrasie: il dipartimento per i censimenti e gli archivi si avvale di una sola direzione (per gli archivi), mancando quella per i censimenti. Se così è, come è, tanto valeva non fare il dipartimento.
Analogamente, la direzione centrale per la diffusione e la comunicazione presenta un solo Servizio. Se così è, come è, tanto valeva non fare la direzione.
Peraltro, nella stragrande maggioranza delle amministrazioni, non è dato ravvisare l’esistenza di strutture simili elevate al rango di Direzione.
Bizzarro, ma originale, l’assetto della direzione centrale per lo sviluppo e il coordinamento della rete territoriale e del Sistan, che si avvale di un solo Servizio denominato – con non troppa fantasia – “per il coordinamento e lo sviluppo del Sistan”.
Per quadrare i conti, ovvero per non superare il numero massimo di strutture dirigenziali, alterato dalla creazione dei dipartimenti, la scure di Giovannini si è abbattuta su alcuni Uffici regionali che, dall’oggi al domani, si sono visti accorpare, così tornando a una impostazione territoriale dell’ente in auge negli anni ’60.
Quale il criterio che ha determinato la fusione degli Uffici di Veneto e Friuli, Emilia-Romagna e Marche, Toscana e Umbria, Abruzzo e Molise? Ha tenuto conto della popolazione complessiva, ovvero della superficie, come per la paventata, ma non realizzata, riduzione delle Province?
Nulla di tutto ciò, ma solo il più “casareccio” criterio dell’accorpamento di quegli Uffici che allo stato risultano sprovvisti di dirigente.
C’è chi dice di rimpiangere il precedente organo di vertice dell’Istat, che realizzava mirabolanti e fantasiosi “accorpamenti” ad interim (ex multis, Emilia-Romagna con la Basilicata e Umbria con la Campania), aventi sicuramente il pregio di favorire lo spirito di unificazione nazionale, oggi tanto magnificato.
Certamente, non si può dire che la scelta operata da Giovannini sia un esempio di federalismo, atteso che la statistica anziché rafforzarsi a livello territoriale, si accentra.