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Sabato, 06 Lug 2024

di Roberto Tomei

Come avvenuto in altri enti vigilati dal Miur, anche all’Ingv a settembre 2011, per effetto del nuovo statuto e in concomitanza con l’arrivo di Domenico Giardini al vertice dell’ente, fecero la loro comparsa nel cda due consiglieri eletti dal personale.

Si tratta di Antonio Meloni e  di Nicola Alessandro Pino, che andarono ad affiancare gli altri due di nomina ministeriale, Bernardino Chiaia e Stefano Gresta, quest’ultimo ora presidente, subentrato al dimissionario Giardini che, però, è rimasto consigliere.

Rispetto al passato, il coinvolgimento di rappresentanti del personale nella gestione dell’ente era stato salutato dai lavoratori, forse con troppa enfasi, come una sorta di rivoluzione che avrebbe dischiuso nuovi orizzonti, soprattutto in fatto di maggiore trasparenza e di più esatta osservanza delle norme sul buon andamento dell’amministrazione.

A distanza di due anni, ci troviamo di fronte alle dure repliche della storia. Del tanto, certamente troppo, che si attendeva dall’azione dei due membri eletti, infatti, poco o niente sembra essere stato  raccolto.

Leggendo, anche distrattamente, i verbali delle riunioni del cda, quasi mai si ha contezza di interventi dei membri de quibus, volti in qualche modo a contrastare, contenere o riorientare le posizioni del presidente o del direttore generale, posizioni che poi assumono la forma di atti concreti, ossia decisioni con le quali viene ritmata la vita dell’ente, sia all’interno che all’esterno.

Eppure, avuto riguardo anche soltanto a quelle che sono state le vicende denunciate dal Foglietto, da ultimo quella dell’incarico professionale conferito “a un avvocato di Pisa”, ce n’era fin troppo per chiedere spiegazioni in ordine a tante scelte non solo a noi apparse stravaganti.

Mentre la gran parte del personale ha letto e continua a leggere con attenzione quanto settimanalmente Il Foglietto riserva alla vita dell’Ingv, a non accorgersi di nulla sembrano essere soltanto i due membri del cda eletti dai lavoratori, dai quali – perché anche più informati – ci si attendeva un surplus di attenzione e reazione.

Se si esclude che siano preda di una sorta di timor reverentialis verso gli altri membri di nomina ministeriale, prende sempre più corpo l’ipotesi che, invece, condividano in toto tanto l’indirizzo che la gestione amministrativa dell’Ingv.

In quest’ultimo caso, sorge tanto spontanea quanto inevitabile la domanda, che ormai si pone la stragrande maggioranza dei lavoratori: ma allora che ci stanno a fare nel cda?

Secondo Giuseppe Falzone, coordinatore nazionale Usi-Ricerca dell’Ingv, ““Per non ipotecare irrimediabilmente il futuro dell’Ingv, di fronte al perpetuarsi di un comportamento assai deludente da parte dei membri eletti, non resta che auspicare che i medesimi, senza ulteriori indugi, rassegnino le dimissioni, lasciando esclusivamente sulle spalle dei restanti tre componenti del cda di nomina ministeriale ogni responsabilità per la gestione dell’ente. Cadrebbe così quella che finora si è rivelata nient’altro che una misera foglia di fico, utile solo a giustificare decisioni che, in tal modo, sono state attribuite all’intero cda e, quindi, anche agli eletti dal personale”.

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