di Flavia Scotti
Un istituto di ricerca relativamente giovane, come l’Ingv, pur occupandosi da sempre di terremoti, non era abituato a scossoni che coinvolgessero il vertice dell’ente.
La lunga gestione di Enzo Boschi, il cui mandato è scaduto ad agosto scorso, aveva assicurato forte stabilità che, con l’arrivo di Domenico Giardini, è inopinatamente venuta meno.
Le inattese e immotivate dimissioni rassegnate da Giardini il 22 dicembre scorso, a poco più di tre mesi dal suo insediamento, la cui accettazione è stata altrettanto immotivatamente differita dal Miur addirittura al 1° marzo, ha sconcertato e, giocoforza, distratto il personale, che con grande competenza e passione sovrintende giorno e notte ai delicati compiti dell’importante istituto.
L’affaire, per molti versi kafkiano, del quale si sono occupati solitariamente Usi-Ricerca e Il Foglietto, si è concluso lo scorso giovedì, con la definitiva uscita di scena di Giardini.
Ora spetterà al ministro Francesco Profumo, che ha gestito la vicenda in maniera non molto lineare, ridare serenità all’ente e ai lavoratori, provvedendo con sollecitudine, dopo aver gettato nel cestino il Manuale Cencelli, alla ricomposizione dell’organo di vertice, con la nomina di un presidente di alto profilo, la cui massima aspirazione sia quella di dedicarsi full time e con spirito di servizio alle sorti dell’Ingv.