di Roberto Tomei
Da qualche settimana, nessuno più controlla la qualità dell'informazione statistica.
La Commissione per la garanzia dell'informazione statistica (Cogis), composta da esperti nominati dal Governo, ha chiuso ufficialmente i battenti. Nella storica sede di via Po, i telefoni squillano a vuoto.
E' questo l'esito determinatosi a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 135 del 2012, meglio nota come spending review.
Nonostante ogni ambizione, la Cogis non è mai diventata un'authority, perché nemmeno lontanamente comparabile, sotto diversi profili, a quelle che tali lo sono veramente. La sua esistenza si è caratterizza subito per una certa osmosi con l'Istat, dato che in passato a presiederla sono stati chiamati esperti che poi sono diventati presidenti dell'Istat. Come dire che il controllore sarebbe diventato controllato.
Per non parlare dell'originario svarione normativo, corretto solo di recente, che assegnava al presidente della Cogis un posto nel cda dell'Istat. In pratica, il controllore controllava se stesso.
Come se non bastasse, in barba a ogni prescritta incompatibilità, della Cogis è diventato componente anche un dirigente ancora nei ruoli dell'Istat. Non adeguatamente attrezzata per i compiti da disimpegnare e senza veri poteri d'intervento, la Cogis in questi anni ha finito con l'emanare soltanto qualche raccomandazione, con effetti poco incisivi. Il resto è storia recente.
Come tutti gli organismi collegiali, anche la Cogis è stata ridimensionata nel numero dei componenti e la sua permanenza in vita è diventata a tempo, venendo introdotta prima una "conferma" triennale (art.29, L. n. 248/2006), poi biennale (art. 68, L. n.133/2008). Ai componenti non è stata addirittura più erogata alcuna indennità, circostanza che ha spinto il presidente dell'organismo a reagire con un ricorso.
Con la chiusura della Cogis, comunque, l’intero sistema statistico è rimasto orbato di un suo elemento costitutivo.