di Adriana Spera
Si è concluso, dopo trenta udienze, con la sentenza di condanna a sei anni di reclusione, emessa dal giudice monocratico del Tribunale penale di L’Aquila, Marco Billi, il processo di 1° grado per tutti i componenti della Commissione grandi rischi che, il 31 marzo del 2009, presenziarono alla riunione che si tenne nel capoluogo abruzzese.
Per tutti, l’accusa mossa era quella di omicidio colposo, disastro e lesioni gravi, per aver rassicurato gli aquilani, nella seduta del 31 marzo 2009, quando sarebbe stata scartata l'ipotesi di un terremoto, poi avvenuto il 6 aprile, dopo un lungo sciame sismico.
Al termine della requisitoria, i pubblici ministeri Fabio Picuti e Roberta D’Avolio avevano chiesto per tutti una condanna a 4 anni.
Sul banco degli imputati, Franco Barberi (presidente vicario della commissione nazionale per la prevenzione e previsione dei grandi rischi e ordinario di vulcanologia all'università Roma Tre), Bernardo de Bernardinis (all’epoca, vice capo settore tecnico operativo del dipartimento nazionale di Protezione civile e ora presidente dell’Ispra), Enzo Boschi (all’epoca, presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia), Giulio Selvaggi (direttore del centro nazionale terremoti e coordinatore del progetto CASE), Gian Michele Calvi (direttore della fondazione Eucentre), Claudio Eva (ordinario di fisica terrestre presso l'università di Genova) e Mauro Dolce (direttore dell'ufficio Rischio sismico del dipartimento di Protezione civile e ordinario di tecnica delle costruzioni presso l'università Federico II di Napoli).
Per la difesa dei sette imputati sono stati mobilitati avvocati di grido: Franco Coppi per Selvaggi; Marcello Melandri per Boschi; Enzo Musco e Alessandra Stefano per Gian Michele Calvi; Roberto Petrelli per Barberi; Filippo Dinacci per Dolce e de Bernardinis e Alfredo Biondi (ex parlamentare) per Eva. Tutti, dopo lunghe e articolate arringhe, hanno chiesto l’assoluzione per i loro assistiti.
Di diverso avviso è stato invece il giudice Billi, che è andato ben oltre le richieste della Procura, condannando gli imputati, oltre che all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, anche a risarcire alle parti civili 7,8 milioni di euro, oltre alle spese processuali per 100 mila euro.
Un addolorato Enzo Boschi ha ribadito: “Non ho mai rassicurato nessuno. Sfido chiunque a trovare scritta, detta a voce, su tv o da qualsiasi parte una mia rassicurazione concernente il terremoto dell'Aquila e questo perché nessuno è in grado di prevedere terremoti. La qualità degli edifici in Italia è tale che anche una piccola scossa può causare un disastro".
Immediata presa di posizione dei geofisici, anche della comunità scientifica internazionale, e dell’Ingv che, con una nota, hanno fatto sapere che “allo stato attuale è impossibile prevedere in maniera deterministica un terremoto. Di conseguenza, chiedere all’Ingv di indicare come, quando e dove colpirà il prossimo terremoto non solo è inutile, ma è anche dannoso perché alimenta in modo ingiustificato le aspettative delle popolazioni interessate da una eventuale sequenza sismica in atto. L’unica efficace opera di mitigazione del rischio sismico è quella legata alla prevenzione, all’informazione e all’educazione della popolazione in cui istituzioni scientifiche, Protezione Civile e amministrazioni locali devono svolgere, in modo coordinato, ognuna il proprio ruolo”.
Per Guido Fioravanti, che nel terremoto ha perso il padre: “Quello di oggi non è stato un processo alla scienza ma a ciò che ha detto e che ha mutato in noi aquilani l'approccio al terremoto". “Quella notte - ha ricordato Guido - avevo sentito mia madre verso le 23, subito dopo la prima scossa. Mi ricordo la paura che usciva dalle sue parole. In altri tempi sarebbero scappati ma quella notte, assieme a mio padre, si sono ripetuti quello che avevano sentito dalla commissione Grandi rischi. E sono rimasti lì".
A nostro avviso, un processo, quello appena concluso, con al banco degli imputati in gran parte i soggetti sbagliati, che rischiano di pagare al posto di chi per anni ha fatto costruire nel modo e nei luoghi manifestamente inidonei e di chi doveva vigilare sulla sicurezza degli edifici e non l’ha fatto, né prima del terremoto, né durante lo sciame sismico che ha preceduto la scossa fatale per L’Aquila.