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Venerdì, 05 Lug 2024

L’accordo tra Fernando Ferroni, presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, e Giuseppe Nucci, amministratore delegato della Sogin spa, è stato siglato con una vigorosa stretta di mano, il 7 novembre scorso.

L’intesa, di durata biennale, è stata definita un primo progetto per la realizzazione di un sistema tecnologico per il monitoraggio in tempo reale dei rifiuti radioattivi, tramite la tecnica Dmnr (Detector Mesh for Nuclear Repositories), che consentirà una nuova metodologia nella gestione dei rifiuti radioattivi.

In particolare, il progetto prevede una fase sperimentale che vedrà coinvolti i llaboratori del sud dell’Infn e la centrale nucleare di Garigliano, in provincia di Caserta, per la realizzazione di rivelatori di radiazioni ad alta tecnologia.

L’Infn ha sviluppato negli ultimi due anni i prototipi di questi rivelatori, nell’ambito del progetto strategico Infn-Energia. Si tratta di una rete di fibre scintillanti in plastica che, colpite da radiazione gamma, producono una luce che viene letta da fotomoltiplicatori al silicio, posti alle due estremità delle fibre. Il segnale viene digitalizzato e inviato a un calcolatore.

L’interesse della Sogin per i rivelatori messi a punto dall’Infn deriva dalle finalità che la società con  sede in via Torino a Roma si prefigge. Nata nel 1999 ad iniziativa dell’Enel, in ottemperanza all’art. 13 del decreto legislativo n. 79/99, l’anno successivo è passata interamente nella mani del ministero del Tesoro.

Con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 31 del 10 febbraio 2010, la Sogin è stata individuata come soggetto responsabile della disattivazione degli impianti nucleari a fine vita; della messa in sicurezza degli stessi nonché della individuazione, realizzazione ed esercizio del Parco tecnologico e del Deposito nazionale nucleare, comprendente anche il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi presenti sul territorio italiano.

A distanza di quasi tre anni, però, non c’è traccia né del Parco né del Deposito, ancora da individuare, mentre procede tutt’altro che speditamente la delicata operazione di smantellamento delle quattro centrali nucleari che dal 1962 al 1987 hanno funzionato in Italia: Trino Vercellese, Caorso, Garigliano e Borgo Sabotino. L’impianto di Montalto di Castro, invece, in via di ultimazione al momento dello stop intervenuto a seguito del referendum del 1987, non è mai stato attivato.

Sta di fatto, però, che i contribuenti da tempo stanno sostenendo l’onere di tali operazioni in virtù di una addizionale presente sulla bolletta (componente A2 della tariffa elettrica), che viene incamerata dal Gruppo Sogin, costituito da Sogin spa (capogruppo) e da Nucleco spa. Il capitale di quest’ultima risulta detenuto per il 60% da Sogin spa, che lo ha rilevato da Eni Ambiente spa, e per il restante 40% dall’Enea.

Dagli ultimi dati forniti dalla Corte dei conti, risulta che al 31 dicembre 2010 la Sogin presentava un attivo di 309,5 mln di euro, a fronte di un passivo di  275,5 mln. Il valore della produzione era pari a 201,5 mln a fronte di un costo di 197,7 mln.

Cifre davvero considerevoli che finora non sono state determinanti per risolvere l’enorme problema della montagna di rifiuti radioattivi presenti nel Paese: oltre 28 mila mc.

In testa, come emerge dall’Annuario dei dati ambientali 2010 dell’Ispra  figura il Lazio con 8.074 mc., seguito dal Piemonte con 5.098; dall’Emilia-Romagna con 4.139; dalla Basilicata con 3.294; dalla Campania con 3.120, dalla Lombardia con 3.018; dalla Puglia con 1.140, dalla Toscana con 350  e dalla Sicilia con 29 mc.

A fronte di una situazione tanto allarmante, l’accordo tra Infn e Sogin sembra somigliare al classico brodino somministrato al malato terminale.

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