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Domenica, 07 Dic 2025

di Rocco Tritto

Uno tra gli enti più immobili del nostro sistema amministrativo, che per sessant’anni è rimasto identico a come l’aveva concepito il fascismo e nel quale, ancora all’inizio degli anni ’80, i dipendenti avevano qualifiche “militari”, che andavano dall’ufficiale aggiunto di statistica fino all’Ufficiale superiore, è stato negli ultimi anni oggetto di diversi interventi legislativi.

Una volta si chiamavano riforme, oggi, vista la loro natura, più esattamente si chiamano “manutenzioni”.

L’ultima è di qualche giorno fa, per di più ad opera del governo che alla Camera, in sede di conversione (ad oggi, a forte rischio) del Decreto legge n. 101/2013, proposto dal ministro della Funzione pubblica Gianpiero D'Alìa, contenente "Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni", ha pensato bene di infilarci un emendamento (n. 8.0.10), con il quale sono state approntate una serie di correzioni delle più recenti “manutenzioni”, in particolare del Dpr 166/2010, al momento della sua emanazione presentato come la panacea di tutti i mali della statistica ufficiale ma del quale, a onor del vero, nessuno ne aveva avvertito il bisogno.

In particolare, è stato introdotto l’articolo aggiuntivo 8-bis  che sopprime e modifica disposizioni vigenti in tema di programma statistico nazionale prevedendo tra l’altro: la soppressione della disposizione che richiede che nel piano siano indicati finalità e garanzie del trattamento di dati, nonché i dati sensibili e quelli relativi ad iscrizioni nel casellario giudiziale; l’aggiornamento annuale e il coordinamento con i piani regionali; l’individuazione delle varianti che possono essere diffuse in modo disaggregato condizionandole a particolari esigenze conoscitive; l’indicazione delle rilevazioni che comportano obbligo di risposta e l’indicazione dei criteri per stabilire quelle la cui mancata risposta è suscettibile di sanzione; la proroga dell’efficacia del Piano statistico nazionale 2011.

Lo stesso articolo aggiuntivo 8-bis restringe, peraltro, l’ambito di scelta del presidente dell’Istat, aggiungendo al requisito di professore ordinario in materie statistiche, economiche ed affini, quello dell’esperienza internazionale.

Probabilmente, facendo leva sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 22 del 2012  e sulla successiva lettera del 23 febbraio 2012 del Presidente della Repubblica ai presidenti delle due Camere e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nelle quali si pongono limiti strettissimi all’emendabilità in sede parlamentare (e,conseguentemente, all’ammissibilità degli emendamenti) dei decreti-legge emanati dal Governo, si è rilevata da parte dell’opposizione la problematicità dell’emendamento del Governo, sotto il profilo della sua stessa ammissibilità, prima ancora che sotto il profilo del suo contenuto.

In particolare, si è sottolineato che detto emendamento non appare strettamente attinente alla materia del presente decreto-legge, il quale rischia, pertanto,di incorrere in quei vizi di disomogeneità che sono stati a più riprese criticati dal Capo dello Stato.

La problematicità dell’intervento di modifica del testo in questione, traspare, peraltro, dalla stessa lettura del dossier predisposto dal Servizio Studi della Camera dei deputati per l’esame in Assemblea del provvedimento d’urgenza del Governo (dossier n. 80/1, rinvenibile sul sito internet della Camera dei deputati), laddove si legge che: «All’art. 8-bis, ove si richiede per la nomina del presidente dell’Istat che la scelta cada su professori ordinari in materie statistiche, economiche ed affini, purché abbiano esperienza internazionale, non è chiarito in quali specifici requisiti tale esperienza debba tradursi. Si valuti, inoltre, che l’introduzione di tale criterio riguarda una specifica fattispecie già in atto, caratterizzata dall’avvenuta scadenza (2 agosto 2013) della carica cui si riferisce il requisito».

Se ne sono accorti, dunque, pure gli uffici del Parlamento, ma il governo, imperterrito, ha continuato a fare orecchie da mercante.

Insomma, dal momento in cui l’introduzione di tale nuovo, ulteriore requisito, vale a dire l’esperienza internazionale, per l’aspirante presidente dell’Istat non appare determinante per la sopravvivenza della Repubblica, perché è stato introdotto? Cui prodest?

E poi: basta un periodo di vacanza trascorso all’estero, uno stage di qualche settimana presso la solita prestigiosa università straniera o altro ancora?

Curiosi e maligni si sono letteralmente scatenati.

I primi darebbero un occhio della testa per sapere se l’emendamento sia stato frutto di una decisone collegiale del governo oppure sia rampollato dalla mente di un singolo ministro.

I maligni, ovviamente, non hanno perso l’occasione per chiosare sulla inopinata “novità”.

A loro dire, non si potrebbe escludere che si tratti di una norma contra personam, nel senso che  qualche partito delle larghe intese potrebbe aver indicato un candidato per l’ambita poltrona, peraltro assai appetibile per il compenso annuo che sfiora i 300 mila euro. Volendo bloccare la richiesta, forse si è constatato che l’aspirante non era mai, ma proprio mai andato Oltralpe. Da qui, sempre per i soliti maligni, si sarebbe escogitato, per non respingere con un immotivato diniego i desiderata del partito alleato (si fa per dire), di introdurre, alla chetichella e col favore delle tenebre, il più inutile dei requisiti, distillato appunto nella sibillina formula “esperienza internazionale”.

Sia come sia, un dato è certo e incontrovertibile e cioè che l’Istat è senza organo di vertice  pleno jure da sei mesi.

E dire che all’indomani della formazione del governo guidato da Letta il giovane, il ministro Franceschini aveva giurato e spergiurato che la designazione del successore di Giovannini era solo questione di giorni e che, nelle more, si era provveduto alla nomina di un facente funzioni.

Si vede che “nelle more” si sono trovate troppe spine.

Leggendo il testo dell’emendamento governativo, si viene, poi, a scoprire, che l’Istat avrebbe uno statuto: peccato che nessuno l’abbia mai visto, né avrebbe potuto, dal momento che l’ente ne è sprovvisto e che la sua struttura è disciplinata da regolamenti di organizzazione, meglio noti come Aog.

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