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Lunedì, 06 Mag 2024

Si è appreso da una comunicazione diffusa lo scorso 12 maggio dal componente del cda del Cnr, Vito Mocella, che nel corso dell’ultima riunione del consesso, tenutasi lo scorso 9 maggio a piazzale Aldo Moro, tra i provvedimenti adottati vi è anche quello riguardante l’approvazione del nuovo Statuto dell’ente, che non prevede più la trasformazione dell’obbligo di aspettativa del presidente (qualora sia professore universitario) in mera facoltà, prevista, invece, dalla bozza trasmessa il 6 marzo alle organizzazioni sindacali.

Come molti lettori ricorderanno, Il Foglietto del 9 marzo 2017 si era occupato dell’argomento con un articolo dal titolo Cnr, modifica dello statuto con alcune novità, Presidente, aspettativa sì o no? nel quale si evidenziavano alcune modifiche che non sembravano affatto richieste dalla novella legislativa.

In particolare, quella dell’art. 15, comma 2, del vigente statuto che, in tema di incompatibilità, stabilisce che il presidente, se professore o ricercatore universitario, è collocato in aspettativa ai sensi dell'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382.

La bozza del nuovo Statuto prevedeva l’obliterazione di tale vincolo, lasciando al presidente (che ora è in aspettativa) la facoltà di optare o meno per l’aspettativa stessa. .

La questione – scrivevamo – è tutt’altro che formale, ma attiene al cumulo di due attività assai impegnative: quella di docente universitario e quella di presidente del più grosso ente di ricerca del paese, con quasi un miliardo di budget, 8mila dipendenti, 105 istituti e oltre 300 strutture di ricerca disseminati su tutto il territorio nazionale. Una struttura a dir poco mastodontica, di cui il presidente, come noto, è il rappresentante legale che, in quanto tale, dovrebbe dedicarsi full time al gravoso impegno.

Al riguardo – aggiungevamo – davvero curiosa si appalesa la definizione di “incarico onorario”, che si legge nella predetta bozza di statuto, a proposito del ruolo svolto “dagli organi di indirizzo strategico”, di cui fa parte il presidente del Cnr.

Qualora la proposta di modifica si dovesse concretizzare – concludevamo – sarebbe quanto mai necessario che lo Statuto prevedesse, esplicitamente, che il presidente, se professore universitario non in aspettativa, deve, ai sensi dell’art. 11 del Dpr 382/80, optare presso l’ateneo di appartenenza per il “tempo definito”, rinunciando al “tempo pieno” per tutta la durata dell’incarico, e che, ai fini del compenso da parte del Cnr, trova applicazione l’articolo 2, comma 2, della legge 18 marzo 1989, n. 118, che testualmente recita: “Ai professori con regime d’impegno a tempo definito, autorizzati alla presidenza … non collocati in aspettativa oppure collocati in aspettativa con assegni, è corrisposta a cura dell’ente … una speciale indennità … pari alla differenza tra la retribuzione in godimento e quella dovuta allo stesso docente se operante in regime di impegno a tempo pieno”. Poiché in caso di “tempo definito”, la retribuzione del professore universitario è di circa il 60% rispetto al “tempo pieno”, ne conseguirebbe che tanto il Cnr quanto altri enti di ricerca - eventualmente presieduti da professori universitari non in aspettativa ma a “tempo definito” - si farebbero carico solo del restante 40% (in media, 50/60 mila euro l’anno).

Il ritiro della predetta proposta di modifica, dunque, non può che essere accolto positivamente.

Sempre dal comunicato del consigliere di amministrazione Mocella, si apprende, altresì, che il testo del nuovo statuto licenziato dal cda contiene novità sostanziali per i direttori d’istituto e di dipartimento, non previste dallo schema a suo tempo inviato ai sindacati.

Per tali figure, va in pensione la norma che prevedeva l’obbligatorietà dell’incarico a tempo pieno. Dopo oltre un decennio, si conclude così l’esperienza dei direttori manager, di cui più volte si è occupato Il Foglietto, in ragione dei loro stipendi annui di 130 mila euro circa, per complessivi 15 milioni di euro.

La speranza è che dalla modifica derivi un consistente ridimensionamento dei compensi che, come più volte da noi evidenziato, ha nel tempo trasformato i fondi per attività di ricerca in costi di management, senza reali benefici per la produttività scientifica.

Dallo statuto vengono espunte le direzioni centrali, trasformando l’amministrazione di piazzale Aldo Moro in una organizzazione gerarchica a due livelli: direttore generale e dirigenti amministrativi.

Da segnalare, infine, la previsione, all’interno dei consigli scientifici, di rappresentanti eletti tra i ricercatori e la soppressione dei contratti “tenure track”, introdotti dalla fusione con l’Infm del 2005.

Non resta che verificare se i regolamenti, salvo diverse indicazioni del Miur, tradurranno le modifiche statutarie in misure concretamente idonee a realizzare economie di spesa per alimentare i fondi della ricerca per migliaia di ricercatori che, quotidianamente, cercano di sbarcare il lunario.

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